IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  5569/95
 proposto   da  Ferraloro  Marco,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Francesco Cacciola ed elettivamente domiciliato in Catania, viale  XX
 Settembre  n.  19,  presso  lo  studio dell'avv. P. Paterniti La Via;
 contro  la  provincia regionale di Messina, in persona del Presidente
 pro-tempore, rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Francesco  Marullo,
 domiciliata   per   legge   presso   questa  segreteria;  l'assessore
 provinciale  sviluppo   economico   pro-tempore   di   Messina,   non
 costituitosi  in  giudizio;  per  l'annullamento del provvedimento di
 rigetto della domanda di concessione di contributo in conto  capitale
 ad impresa artigiana, comunicato dall'assessore prov.le allo sviluppo
 economico  con lettera raccomandata a.r. del 19 giugno 1995 pervenuta
 il 22 giugno 1995.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Vista la domanda di sospensione  dell'efficacia  del  provvedimento
 negativo impugnato col predetto ricorso;
   Visto  l'atto di costituzione in giudizio della provincia regionale
 di Messina;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito alla Camera di Consiglio del 10  novembre  1995  il  relatore
 presidente dott. Vincenzo Zingales, e uditi l'avv. F. Cacciola per il
 ricorrente,  e  il  dott.  proc.  M.  Scurria, su delega dell'avv. F.
 Marullo, per la Provincia regionale di Messina;
   Visto l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F a t t o
   Col ricorso in esame, notificato il 2 ottobre 1995 e depositato  il
 27  ottobre  1995,  il  sig.  Ferraloro  Marco, titolare dell'omonima
 impresa artigiana di lavorazione marmi, con sede in  Capo  d'Orlando,
 via  Cordovena  ha  impugnato il provvedimento n. 35213 del 19 giugno
 1995 col quale l'assessore allo sviluppo  economico  della  provincia
 regionale  di  Messina  ha  rigettato  la  domanda  di concessione di
 contributo in conto capitale da egli presentata,  in  data  29  marzo
 1994, a norma dell'art. 43 della legge regionale 18 marzo 1986, n. 3,
 per l'acquisto di attrezzature e macchinari.
   Dopo  aver  premesso  che  tale  provvedimento negativo e' motivato
 esclusivamente con  riferimento  alla  circostanza  che  "le  fatture
 inerenti  l'investimento  effettuato risultano pagate a saldo dopo la
 presentazione dell'istanza", che per l'investimento in  questione  ha
 effettuato   una  spesa  complessiva  di  L.  91.352.500,  e  che  il
 contributo in conto capitale previsto  dal  predetto  art.  43  legge
 regionale  n. 3/1986 e' determinato nella misura del 30% della spesa,
 il ricorrente deduce, a sostegno dell'impugnativa, il seguente  unico
 ed articolato mezzo di gravame:
   Violazione  e  falsa  applicazione  degli  artt.  2 e 4 della legge
 regionale 6 giugno l975, n. 41, e dell'art. 43 della legge  regionale
 18 febbraio 1986, n. 3. Eccesso di potere per sviamento, travisamento
 dei  fatti  e per contraddizione con una precedente manifestazione di
 volonta'.
   Sostiene  il  ricorrente  che  l'asserita,   ma   non   specificata
 violazione   di  legge  posta  a  base  dell'impugnato  provvedimento
 negativo non sussiste.
   Infatti, ne' la legge regionale 6 giugno 1975, n. 41, ne' la  legge
 regionale  18 febbraio 1986, n. 3, prevederebbero che la richiesta di
 contributo possa essere avanzata solo dopo che sia  stato  totalmente
 saldato il costo dell'investimento per cui si richiede la concessione
 del contributo.
   La  normativa che disciplina la concessione del contributo in conto
 capitale prevederebbe, al contrario, un procedimento che  inizia  con
 la domanda di contributo, prosegue con l'istruttoria, le cui funzioni
 sono demandate alle commissioni provinciali competenti, e si conclude
 con l'emissione del provvedimento da parte degli organi provinciali.
   Il ricorrente prosegue evidenziando che in materia e' stata emanata
 da  parte  dell'Assessorato regionale alla cooperazione - commercio -
 artigianato la circolare 12 aprile 1986, n. 3/1986, che puntualizza i
 criteri  e  le  modalita'  per  la  concessione  ed  erogazione   dei
 contributi   in   conto   capitale,  e  che  dalla  lettura  e  dalla
 applicazione di tale circolare appare evidente l'illegittimita' della
 motivazione del provvedimento di diniego.
   Al riguardo viene rilevato che nella parte  intitolata  "Domanda  e
 documentazione",  dopo  la  precisazione che "il contributo regionale
 viene concesso a  consuntivo,  dopo  l'istruttoria  della  competente
 commissione   provinciale",   la   circolare   prevede   che  per  la
 "concessione" del  contributo  dovra'  essere  presentata  una  certa
 documentazione puntualmente elencata.
   Dal  sistema normativo delineato, quindi, emergerebbe con chiarezza
 la suddivisione del procedimento in due fasi, la  prima  comprendente
 l'istanza  e  l'istruttoria, la seconda comprendente la concessione e
 la liquidazione del contributo.
   La distinzione nelle due fasi, precisa  ancora  il  ricorrente,  e'
 tenuta  ben  presente  nella  circolare  sopra  richiamata laddove si
 prevede espressamente che la  documentazione  elencata  dalla  stessa
 circolare  "deve  essere in ogni caso completa all'atto di erogazione
 del contributo".
   Nella specie, la documentazione presentata con l'istanza  e'  stata
 integrata,  dopo  la  richiesta della provincia (che quindi per altro
 verso  mostra  di  ben  conoscere  il  procedimento),  anche  con  la
 produzione  delle  lettere  liberatorie  da  parte  delle  due  ditte
 fornitrici delle attrezzature che nel frattempo avevano  ricevuto  il
 saldo  del  corrispettivo dei beni acquistati (dalla data di acquisto
 alla data del saldo sono trascorsi appena quattro mesi).
   Una volta dimostrato, con la produzione delle lettere  liberatorie,
 l'avvenuto   integrale  pagamento  dell'investimento  effettuato  nel
 termine di sei mesi dall'acquisto, e' assurdo - afferma il ricorrente
 - che il contributo possa essere  denegato  sol  perche'  al  momento
 della  proposizione  dell'istanza  il  saldo  non  era  stato  ancora
 integralmente pagato.
   In caso contrario, agli artigiani, che la legge  regionale  intende
 agevolare,   verrebbe   preclusa   o   fortemente  ridimensionata  la
 possibilita'  di  ottenere  un  pagamento  dilazionato   dai   propri
 fornitori,  e  quindi,  in  buona  sostanza,  di  godere  sotto altro
 aspetto, di una agevolazione finanziaria.
   Ne'  si  potrebbe  obiettare  -   si   afferma   ancora   nell'atto
 introduttivo  del  giudizio  -  che  la  dimostrazione dell'integrale
 pagamento dell'investimento debba essere contestuale alla domanda  al
 fine  di  evitare  la concessione di contributi a chi poi non paghi i
 propri fornitori, dato che, come gia' precisato,  tale  dimostrazione
 deve  essere in ogni caso data prima della concessione del contributo
 e della sua effettiva erogazione.
   Secondo il ricorrente, infine, sarebbe palese la contraddizione tra
 la   motivazione   del   provvedimento   impugnato  e  la  precedente
 manifestazione di  volonta'  esplicitata  dalla  p.a.  attraverso  la
 comunicazione  inviata  al  ricorrente  con lettera racc. a.r. del 24
 settembre 1994, con cui lo si invitava,  nel  corso  dell'istruttoria
 della  pratica,  a  produrre le fatture regolarmente quietanzate o le
 lettere liberatorie rilasciate dalle ditte fornitrici.
   Con lo stesso gravame il ricorrente ha chiesto la  sospensione  del
 provvedimento  negativo impugnato, affermando di non potere attendere
 la decisione di merito per ottenere la concessione del contributo  in
 questione,  sul  quale  aveva fatto affidamento nel momento in cui ha
 deciso di compiere l'investimento, e che pertanto  e'  indispensabile
 la adozione di una ordinanza cautelare "propulsiva" da cui derivi per
 l'Amministrazione  provinciale,  prima  della  decisione  del merito,
 l'obbligo di riesaminare la predetta domanda di contributo  basandosi
 su  tutta la documentazione prodotta nel corso dell'istruttoria della
 pratica.
   Alla Camera di consiglio del  10  novembre  1995,  fissata  per  la
 trattazione  della  suddetta  domanda  incidentale di sospensione del
 provvedimento impugnato proposta dal ricorrente in seno  al  ricorso,
 l'intimata  provincia  regionale  di  Messina  si  e'  costituita  in
 giudizio, depositando soltanto copia del ricorso notificatole, con in
 calce la procura speciale alla lite.
   Con ordinanza cautelare n.  2831/1995,  deliberata  nella  predetta
 Camera  di consiglio del 10 novembre 1995, la terza sezione di questo
 tribunale (ritenendo fondato,  ad  un  primo  esame,  il  ricorso,  e
 ritenendo  altresi'  sussistente  il  requisito  del  danno  grave  e
 irreparabile prescritto dall'art. 21, ultimo comma, legge 6  dicembre
 1971, n.  1034), ha accolto temporaneamente la domanda di sospensione
 dell'efficacia  del  provvedimento negativo impugnato, ordinando alla
 provincia  regionale  di  Messina  di   riesaminare   la   situazione
 controversa  regolandola nuovamente a titolo provvisorio, vale a dire
 concedendo al ricorrente il  contributo  in  conto  capitale  di  cui
 trattasi,   od   anche,  ove  ne  ricorrano  i  presupposti,  negando
 nuovamente il richiesto provvedimento ampliativo  qualora  sussistano
 altre  legittime  ragioni  ostative  non  evidenziate con l'impugnato
 provvedimento  negativo,  e  cio'   entro   settanta   giorni   dalla
 notificazione dell'ordinanza di sospensione presso la sede di ufficio
 della  predetta  Amministrazione;  rinviando l'ulteriore e definitiva
 trattazione della domanda cautelare alla prima  Camera  di  consiglio
 utile  dopo  la  restituzione  degli atti del giudizio da parte della
 Corte costituzionale a seguito della  decisione  della  questione  di
 costituzionalita'  -  che  ha  deciso  di  sollevare  con la presente
 separata ordinanza, deliberata in pari  data  (10  novembre  1995)  -
 dell'art.  21,  ultimo  comma,  legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella
 parte  in  cui  non  prevede  espressamente  il  potere  del  giudice
 amministrativo     di    sospendere    i    provvedimenti    negativi
 dell'Amministrazione.
                             D i r i t t o
   1. - Come gia' esposto in epigrafe e nelle premesse  di  fatto  che
 precedono, l'impugnativa proposta e' rivolta avverso il provvedimento
 n.  35213  del  19  giugno  1995  col quale l'Assessore allo sviluppo
 economico della  provincia  regionale  di  Messina  ha  rigettato  la
 domanda  di  concessione  di  contributo  in  conto  capitale da egli
 presentata, in data 29 marzo 1994, a norma dell'art. 43  della  legge
 regionale  18  febbraio  1986, n. 3, per l'acquisto di attrezzature e
 macchinari.
   2. - La terza sezione di questo tribunale, come si e' pure  esposto
 in  narrativa,  con ordinanza cautelare n. 2831/1995 deliberata nella
 Camera di consiglio del  10  novembre1995,  ritenendo  sussistenti  i
 presupposti  del  fumus  boni  juris e del danno grave e irreparabile
 richiesti dall'art. 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n.
 1034,  per  l'erogazione  della   tutela   cautelare   nel   processo
 amministrativo,  ha accolto temporaneamente la domanda di sospensione
 dell'efficacia del provvedimento negativo impugnato,  ordinando  alla
 provincia   regionale   di   Messina  di  riesaminare  la  situazione
 controversa regolandola nuovamente a titolo provvisorio, vale a  dire
 concedendo  al  ricorrente  il  contributo  in  conto capitale di cui
 trattasi,  od  anche,  ove  ne  ricorrano  i   presupposti,   negando
 nuovamente  il  richiesto provvedimento ampliativo qualora sussistano
 altre legittime ragioni  ostative  non  evidenziate  con  l'impugnato
 provvedimento   negativo,   e   cio'   entro  settanta  giorni  dalla
 notificazione dell'ordinanza di sospensione presso la sede di ufficio
 della predetta Amministrazione; rinviando  l'ulteriore  e  definitiva
 trattazione  della  domanda  cautelare alla prima Camera di consiglio
 utile dopo la restituzione degli atti del  giudizio  da  parte  della
 Corte  costituzionale  a  seguito  della decisione della questione di
 costituzionalita' - che  ha  deciso  di  sollevare  con  la  presente
 separata  ordinanza,  deliberata  in  pari  data (10 novembre 1995) -
 dell'art. 21, ultimo comma, legge 6 dicembre  1971,  n.  1034,  nella
 parte  in  cui  non  prevede  espressamente  il  potere  del  giudice
 amministrativo    di    sospendere    i    provvedimenti     negativi
 dell'Amministrazione.
   3.  -  Cio'  premesso, deve innanzitutto osservarsi che il Collegio
 ritiene che la predetta  questione  di  costituzionalita',  sollevata
 d'ufficio,  sia  rilevante  ai fini del decidere e non manifestamente
 infondata ai  sensi  e  per  gli  effetti  dell'art.  1  della  legge
 costituzionale  9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23, secondo comma,
 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  e  cio'  nei  limiti  e  per  le
 considerazioni che seguono.
   4.1.  - Quanto alla rilevanza di tale questione, occorre premettere
 che, alla stregua dell'orientamento giurisprudenziale  segnato  dalla
 stessa  Corte  costituzionale  con  le  sentenze 27 dicembre 1974, n.
 284, 17 luglio 1975, n. 227, e 1 febbraio 1982, n. 8, in  conformita'
 ai  principi  e  valori  costituzionali  fissati dagli artt. 3, primo
 comma, 24, secondo comma, 103, primo comma, e 113 della Costituzione,
 e seguito, dall'adunanza plenaria  del  Consiglio  di  Stato  con  la
 sentenza  n.  6  del  30  aprile 1982 e con le ordinanze n. 17 dell'8
 ottobre 1982 e n. 14 del 1 giugno 1983, e come sara' meglio precisato
 in sede di delibazione di non manifesta infondatezza della  questione
 di  costituzionalita'  in  esame, la tutela cautelare deve ammettersi
 anche in relazione al silenzio-rifiuto ed ai  provvedimenti  negativi
 dell'Amministrazione  che  incidono  sugli  interessi  legittimi alla
 acquisizione di  un  bene  della  vita  (c.  d.  interessi  legittimi
 pretensivi), affinche' l'autorita' amministrativa competente, nel dar
 doverosa  esecuzione  all'ordinanza  di sospensione del comportamento
 omissivo  o  del  provvedimento  negativo  impugnato,  disponga   con
 riserva,   e   quindi   sino   alla   definizione  nel  merito  della
 controversia, l'emanazione di provvedimenti legittimi  finalizzati  a
 tale  esecuzione.   Il predetto orientamento giurisdizionale e' stato
 condiviso sin dal 1985 dal T.A.R. Sicilia - Catania che, con numerose
 ordinanze ha sospeso provvedimenti negativi e comportamenti  omissivi
 dell'Amministrazione agli effetti sopra indicati, e quindi affermando
 l'obbligo della stessa Amministrazione di procedere (entro termini di
 volta  in  volta  assegnati  in  relazione  alla  maggiore  o  minore
 intensita'  del  periculum  in  mora)  al  riesame  della  situazione
 controversa  ed alla conseguente riemanazione a titolo provvisorio di
 un nuovo provvedimento, positivo o anche negativo purche' il    -  in
 questa  seconda  ipotesi - emanato in base ad altre legittime ragioni
 ostative prima non evidenziate od esplicitate, e cioe', nelle ipotesi
 di provvedimento negativo, sulla base di presupposti di  fatto  e  di
 diritto  del  tutto  diversi  da  quelli  precedentemente individuati
 dall'Autorita'  amministrativa  (nel  primo  diniego  impugnato)  con
 motivazioni  gia'  ritenute illegittime in sede cautelare dal giudice
 amministrativo.
   4.2. - Ma il Consiglio di giustizia amministrativa per  la  regione
 siciliana,  unico  giudice d'appello avverso le sentenze ed ordinanze
 del T.A.R. Sicilia, con ordinanza n. 358 del 18 maggio 1994 - che  si
 allega  - ha annullato l'ordinanza di questa terza sezione n. 503 del
 23 febbraio 1994 (che aveva sospeso il provvedimento  negativo  prot.
 19585  del  13  novembre  1993  emanato  dall'ispettorato provinciale
 dell'agricoltura di Enna, ordinando alla predetta Amministrazione  di
 riesaminare   la   situazione   controversa   a  titolo  provvisorio,
 accogliendo o, se del caso, rigettando nuovamente  per  altri  motivi
 l'istanza del ricorrente diretta ad ottenere i benefici finanziari di
 cui  alla  legge  n.  31/1991).   Con tale ordinanza - emanata com'e'
 evidente, in fattispecie analoga a quella in esame (sia per il  genus
 che  per la species, in quanto concernente non soltanto, in generale,
 l'ammissibilita' della tutela cautelare in materia  di  provvedimenti
 negativi  e guindi di interessi legittimi pretensivi, ma soprattutto,
 in particolare, un diniego di concessione di finanziamenti pubblici -
 il C.G.A.  reg.  sic.,  pur  ammettendo  in  linea  di  principio  la
 sospendibilita', dei provvedimenti negativi e dei silenzi-rifiuti, ha
 affermato  in  via  generale che l'esercizio del potere cautelare del
 giudice amministrativo  in materia resta subordinato a determinate  e
 rigide  condizioni;  condizioni  che, in realta', circondano siffatto
 potere di limitazioni tali  da  escludere  sostanzialmente  dall'area
 della tutela cautelare una larga fascia di interessi pretensivi, o da
 rendere,   comunque,   estremamente   difficoltosa,   aleatoria,   ed
 evanescente tale tutela.   In particolare,  dopo  avere  inizialmente
 affermato  che  "il  giudice  amministrativo  in  sede  cautelare, in
 relazione a ricorsi proposti  avverso  provvedimenti  negativi,  puo'
 ordinare   all'Amministrazione   l'adozione   di   un   provvedimento
 interinale a condizione che:   a) abbia  deliberato  l'illegittimita'
 del  provvedimento impugnato e l'esistenza dei presupposti di fatto e
 di  diritto  per  l'adozione  di  un  nuovo  provvedimento  da  parte
 dell'amministrazione" (enunciati motivatori, questi, assolutamente ed
 ovviamente condividibili, alla luce dei principi generali processuali
 e   del   menzionato   orientamento  giurisprudenziale  dell'adunanza
 plenaria  del  Consiglio  di  Stato  seguito  da  gran  parte   della
 giurisprudenza  amministrativa cautelare di primo grado e d'appello),
 il C.G.A. sviluppa la sequenza argomentativa, a sostegno  della  tesi
 restrittiva   accolta   con  la  menzionata  ordinanza  n.  358/1944,
 proseguendo  nell'elencazione  delle  ulteriori  condizioni  ritenute
 necessarie  per  "ordinare  all'amministrazione  l'adozione   di   un
 provvedimento  interinale", che vengono testualmente individuate come
 segue:  b) la situazione sia suscettibile di essere  definita  da  un
 provvedim    ento la cui efficacia sia limitata alla fase cautelare e
 che  non  immuti  in modo tendenzialmente irreversibile la situazione
 controversa; c) sia rispettato  il  principio  del  doppio  grado  di
 giurisdizione,  nel  senso  che,  salvo  casi  eccezionali  in cui il
 ritardo nel provvedere comprometterebbe irreversibilmente l'interesse
 del  ricorrente  (come  ad  esempio  avviene  quando  sia  necessario
 disporre  l'ammissione  con  riserva  ad  un concorso: cfr. la citata
 giurisprudenza       dell'adunanza        plenaria),        l'obbligo
 dell'amministrazione  di  provvedere,  al  fine di un'adeguata tutela
 anche dell'interesse pubblico, operi soltanto nell'ipotesi in cui  la
 decisione cautelare di primo grado non sia appellata; d) la decisione
 cautelare,  emessa  sulla  base di una semplice delibazione della res
 litigiosa, non procuri al ricorrente effetti favorevoli  maggiori  di
 quelli  che  potrebbe  conseguire  da  una sentenza di accoglimento o
 quanto  meno  non  sia  integralmente   satisfattiva   dell'interesse
 concreto  del  ricorrente, al fine di non rendere di fatto inutile la
 successiva  fase  della  decisione  nel   merito,   con   conseguente
 attenuazione  della  garanzia  della  tutela  giurisdizionale  che si
 realizza appieno solo in questa seconda fase, la cui decisione  viene
 adottata  previo  un  analitico  e  motivato esame dei vari motivi di
 gravame.  Il C.G.A. conclude, quindi, la  motivazione  dell'ordinanza
 in  question      e  affermando:   che nella fattispecie in esame non
 ricorrono le condizioni:  sub b), in quanto la situazione controversa
 non  puo'  ritenersi  suscettibile   di   essere   definita   da   un
 provvedimento positivo interinale, tenuto anche conto che esso da una
 parte  provocherebbe  una  immutazione  tendenzialmente irreversibile
 della  situazione  controversa,  attesa  la  problematicita'  di   un
 eventuale   recupero   di  finanziamenti  indebitamente  concessi,  e
 dall'altra  non  inciderebbe  su  eventuali   legittime   aspettative
 dell'aspirante  ai  finanziamenti,  che  -  al  limite,  in  sede  di
 esecuzione  di  giudicato  -  potrebbe   sempre   conseguire   quanto
 dovutogli; sub c), in quanto l'obbligo di provvedere e' stato imposto
 senza  che  sussistessero  eccezionali  esigenze  di urgenza, tali da
 richiederlo; sub d), in quanto la decisione cautelare procurerebbe al
 ricorrente  effetti  favorevoli  maggiori  di  quelli  che   potrebbe
 conseguire  da  una  sentenza di accoglimento, che solo a seguito del
 suo passaggio in giudicato e dell'esperimento positivo  del  giudizio
 d'ottemperanza potrebbe dare luogo agli effetti stessi.  La suesposta
 tesi  restrittiva  e' stata successivamente confermata dal C.G.A. con
 numerose ordinanze  cautelari  che,  in  accoglimento  degli  appelli
 proposti  dalle  amministrazioni  soccombenti  in  primo grado, hanno
 reiteratamente annullato le ordinanze "propulsive" di sospensione  di
 provvedimenti  negativi  emesse  da questa sezione. Si vedano, fra le
 tante le seguenti ordinanze del C.G.A. (anch'esse allegate):
     n. 569 del 20 luglio 1994 (fattispecie in materia di  diniego  di
 autorizzazione,  da  parte  del  Comandante  del  porto  di  Augusta,
 all'esercizio del trasporto di merci e passeggeri in tale porto);
     n. 570 del 20 luglio 1994 (fattispecie identica a quella  di  cui
 sopra);
     n.  571  del 20 luglio 1994 (fattispecie identica a quella di cui
 sopra);
     n. 607 del 21 luglio 1994 (fattispecie in materia di  diniego  di
 autorizzazione  ex  art. 7 legge n. 1497/1939 per la realizzazione di
 un progetto edilizio);
     n. 665 del 14 settembre 1994 (fattispecie analoga a quella di cui
 sopra);
     n. 674 del 14 settembre 1994 (fattispecie in materia  di  mancato
 conferimento di supplenze scolastiche);
     n.  675  del  14 settembre 1994 (fattispecie identica a quella di
 cui sopra);
     n. 720 del 19 ottobre 1994 (fattispecie in materia di diniego  di
 nulla-osta,  ex  art.  7 legge n. 1497/1939, alla realizzazione di un
 fabbricato);
     n. 775 del 20 ottobre 1994 (fattispecie analoga a quella  di  cui
 sopra);
     n.  178  del 15 marzo 1995 (fattispecie in materia di diniego, da
 parte del Ministero delle poste e telecomunicazioni,  di  concessione
 per radiodiffusione sonora in ambito locale);
     n.  262  del 17 maggio 1995 (fattispecie analoga alla precedente,
 in materia di radiodiffusione televisiva privata in ambito locale);
     n. 284 del 14 giugno 1995 (fattispecie analoga a  quella  di  cui
 sopra).
   In  particolare,  la  summenzionata  ordinanza  n. 178 del 15 marzo
 1995, dopo aver richiamato,  trascrivendole,  le  condizioni  -  gia'
 individuate con la precedente ordinanza n. 358 del 18 maggio 1994 (la
 cui  motivazione in diritto e' stata sopra integralmente riportata) -
 ritenute  necessarie  dal  C.G.A.  affinche',  in  sede  di  giudizio
 cautelare  avverso provvedimenti negativi, "il giudice amministrativo
 possa ordinare all'amministrazione  l'adozione  di  un  provvedimento
 interinale",  cosi'  testualmente  enuncia le ulteriori motivazioni a
 sostegno della sua tesi di pressocche' totale chiusura all'evoluzione
 giurisprudenziale in tema di sospensione di  provvedimenti  negativi,
 in  contrasto  non  solo col cennato indirizzo dell'adunanza plenaria
 del Consiglio di Stato, ma anche, come si vedra' appresso in sede  di
 delibazione  del  presupposto  della non manifesta infondatezza della
 presente  questione  di   costituzionalita',   della   stessa   Corte
 costituzionale:
   Considerato:   che l'ordinanza impugnata e' sostanzialmente fondata
 su tre ordini di considerazioni:  a) che il  giudizio  cautelare,  al
 pari  del giudizio d'ottemperanza, debba ricondursi nell'ambito della
 giurisdizione di  merito;  b)  che  pertanto,  nei  casi  in  cui  la
 sospensione  del provvedimento impugnato non sia di per se' idonea ad
 offrire piena tutela all'interesse fatto valere dal ricorrente,  come
 accade nei casi di impugnazione di provvedimenti negativi relativi ad
 interessi pretensivi o partecipativi, il giudice amministrativo possa
 adottare  tutte  le  misure  di  esecuzione in forma specifica da lui
 ritenute necessarie, indipendentemente dalla  considerazione  che  in
 tal  modo  la  pronunzia  cautelare  possa attribuire all'interessato
 un'utilita' eguale o superiore a quella conseguibile da  un'eventuale
 sentenza   di   accoglimento   o  possa  determinare  una  situazione
 irreversibile;  c)  che  alla  pubblica  amministrazione  non   possa
 consentirsi  la  scelta tra l'ottemperanza immediata alla statuizione
 cautelare e l'attesa  dell'esito  dell'appello  gia'  proposto  o  da
 proporre; che le suddette considerazioni non possono essere condivise
 in quanto:
      1)  l'opinamento  che  l'intera  giurisdizione  cautelare  debba
 ricondursi    nell'ambito    della    giurisdizione    di     merito,
 indipendentemente  dalla  materia  alla  quale  si  riferisce, non ha
 alcuna base normativa e va pertanto ritenuto non  conforme  a  legge,
 attesa la tassativita' delle materie in cui il giudice amministrativo
 ha giurisdizione anche in merito;
      2)  che,  contrariamente  a quanto opinato dal TAR, tra giudizio
 cautelare e giudizio d'ottemperanza non sussiste alcuna significativa
 analogia funzionale (esistente, al piu', tra giudizio  di  esecuzione
 dell'ordinanza cautelare e giudizio d'esecuzione della sentenza).  Il
 giudizio    cautelare,   infatti,   ha   per   oggetto   un'attivita'
 amministrativa gia' svolta e  non  collegata  a  precedenti  pronunce
 giurisdizionali; ed e' preordinato al riconoscimento dell'esistenza o
 dell'inesistenza  di  un  semplice  fumus  boni  iuris  che,  potendo
 successivamente non essere condiviso sia dallo stesso  primo  giudice
 in  sede  di  sentenza  sia  dal  giudice  d'appello, giustifica solo
 l'adozione di misure interinali  che  consentano  di  pervenire  alla
 decisione  definitiva  re  adhuc  integra, con esclusione pertanto di
 quegli effetti irreversibili che svuoterebbero di contenuto  concreto
 un'eventuale  decisione  definitiva  di  segno contrario. Il giudizio
 d'ottemperanza invece, non a caso  l'unico  ad  essere  espressamente
 inserito dalla legge nella giurisdizione di merito, e' finalizzato ad
 un'attivita'   amministrativa  ancora  da  svolgere  in  relazione  a
 precedenti pronunce  giurisdizionali  passate  in  giudicato;  ed  e'
 preordinato ad adeguare l'amministrazione ad una verita' legale ormai
 certa ed incontrovertibile, tale da giustificare l'adozione di misure
 sostitutive  atte  a  realizzare  in via definitiva la conseguenziale
 esigenza di conformazione da parte dell'amministrazione stessa;
      3)  che  non  puo'  condividersi   l'avviso   che   il   giudice
 amministrativo,  in  sede  di  giurisdizione generale di legittimita'
 (qual e' quella in esame), possa adottare nella fase cautelare misure
 sostitutive che gli  sarebbero  precluse  nella  successiva  fase  di
 merito;  possa  cioe'  imporre  con  ordinanza,  e  sulla  base di un
 semplice fumus, incisivi obblighi di esecuzione che, se  imposti  con
 sentenza  e  sulla  base  di  un  approfondito esame della questione,
 risulterebbero frutto di un difetto assoluto di giurisdizione;
      4)  che  l'adozione  di  provvedimenti  cautelari   ad   effetti
 irreversibili  non puo' altresi' ritenersi conforme all'art. 24 della
 Costituzione, tenuto anche conto che la nota crescente  divaricazione
 temporale  tra ordinanza cautelare e sentenza definitiva, e quindi la
 crescente divaricazione temporale  tra  l'accertamento  del  fumus  e
 l'accertamento  dell'effettiva  fondatezza  del ricorso, impongono al
 giudice  un   particolare   self   restraint   nell'adottare   misure
 sostitutive in sede cautelare; che pertanto, con riferimento a quanto
 gia'  rilevato  da questo Consiglio con la citata ordinanza 18 maggio
 1994,  n.  358,  la  tutela  cautelare  di  interessi  pretensivi   o
 partecipativi possa tradursi in ordini di fare solo nei limiti in cui
 l'azione  dell'Amministrazione  sia  vincolata e non discrezionale, e
 qualora la situazione controversa sia suscettibile di essere definita
 da un provvedimento positivo interinale e l'effettivita' della tutela
 dell'interesse azionato non consenta  l'indugio  connesso  all'attesa
 della  sentenza  definitiva; che i presupposti da ultimo indicati non
 ricorrono nella controversi     a in esame, pur  essendo  il  ricorso
 introduttivo  assistito  dal  prescritto  fumus, sotto il profilo che
 nella fattispecie si sarebbe verificata una semplice variazione della
 struttura soggettiva del concessionario; che  pertanto  l'appello  va
 accolto  limitatamente  all'obbligo  dell'Amm        inistrazione  di
 riesaminare   la   situazione   controversa   delineandola   con   un
 provvedimento positivo entro un termine predeterminato.
   4.3.   -   Tale   essendo  il  tralaticio  e  conservatore  disegno
 ricostruttivo che il giudice amministrativo  d'appello  effettua  del
 sistema  della  tutela cautelare in materia di provvedimenti negativi
 (ed in particolare, per quanto  qui  rileva,  di  quelli  concernenti
 contributi e finanziamenti pubblici), e quindi di interessi legittimi
 pretensivi,  osserva  il  Collegio  che,  se e' vero, ovviamente, che
 siffatta restrittiva e poco  garantistica  ricostruzione  ermeneutica
 non  puo'  costituire  un  precedente  vincolante  nei  confronti dei
 giudici di primo grado (dato che,  a  norma  dell'art.  101,  secondo
 comma,  della  Costituzione,  "i  giudici sono soggetti soltanto alla
 legge", e che l'unico  vincolo  interpretativo  previsto  nel  nostro
 ordinamento processuale e' quello imposto dall'art. 384, primo comma,
 C.P.C.  al  giudice  di rinvio che "deve uniformarsi" al principio di
 diritto enunciato dalla Corte di  cassazione  allorche'  accoglie  il
 ricorso  per violazione o falsa applicazione di norme di diritto), e'
 altresi' vero che la costante interpretazione del C.G.A. al  riguardo
 -  che ha condotto e continua a condurre all'annullamento sistematico
 di tutte le ordinanze  cautelari  "propulsive"  od  "ordinatorie"  di
 questa  sezione  che,  ancorche' emanate indubitabilmente in presenza
 dei  presupposti  del  fumus  boni  juris"  e  del  danno   grave   e
 irreparabile richiesti dall'ultimo comma dell'art.  21 della legge n.
 1034/1971,  contrastino  con  le  cennate  "condizioni" restrittive -
 assume indubbiamente rilievo in relazione all'esigenza insopprimibile
 di assicurare, sempre nei limiti  della  liberta'  di  coscienza  del
 giudice,  la  certezza del diritto.   Ed invero, e' appena il caso di
 rilevare in proposito che una delle  esigenze  fondamentali  di  ogni
 ordinamento  giuridico  e' la sua certezza, vale a dire la sicurezza,
 che tutti i soggetti debbono poter avere, in  ordine  al  trattamento
 che  ad  essi  sara'  riservato qualora divengano, in conseguenza del
 verificarsi di determinati  fatti  giuridici  previsti  dalle  norme,
 destinatari  concreti  di  situazioni  giuridiche soggettive attive o
 passive  astrattamente  contemplate  dalle  stesse  norme,  e  quindi
 titolari  di  rapporti giuridici; di guisa che puo' affermarsi che la
 certezza  del  diritto,  o  sicurezza   giuridica,   costituisce   un
 corollario  dell'astrattezza  e  generalita'  della  norma giuridica.
 Vero e' che l'incertezza e' spesso causata dal sovrapporsi  di  norme
 (primarie  e secondarie) contraddittorie, dalla loro oscurita', dalla
 loro abnorme e disorganica proliferazione, che rende  arduo  il  loro
 coordinamento  e  quindi  meno evitabili le antinomie. Ma e' altresi'
 vero che la causa d'incertezza piu' insidiosa, e purtroppo egualmente
 frequente, e' costituita dalle interpretazioni erronee  degli  organi
 giurisdizionali,  ed in particolare da quelle che (come nella specie)
 rappresentano  un  ritorno  a  schemi  concettuali  ed   orientamenti
 superati  da  tempo  dalla  consolidata evoluzione giurisprudenziale,
 rispetto alla quale si pongono come deviazioni ingiustificate  e  non
 piu' accettabili dalla coscienza giuridica maturata e acquisita dalla
 collettivita'  in  un  dato  momento  storico  (ed  e'  noto che tale
 coscienza consiste, in estrema sintesi, nel complesso dei precetti  -
 ai  quali  devono  informarsi  il  legislatore  e  l'interprete - che
 conferiscono l'impronta ad un determinato ordinamento  giuridico  nel
 suo   continuo   divenire   e   progredire   plasmato  dall'indirizzo
 storico-politico del tempo).  Cio' posto, osserva il collegio che  un
 contrasto giurisprudenziale prolungato nel tempo si rivela quanto mai
 dannoso  sia in relazione all'azione della pubblica amministrazione a
 tutela degli interessi pubblici che in  relazione  all'assetto  degli
 interessi   legittimi  in  contestazione.    Pertanto  il  tribunale,
 prendendo atto di tale costante interpretazione contraria del proprio
 giudice di appello, che assume come "diritto vivente" del quale  deve
 fare applicazione nel giudizio cautelare, osserva che la questione di
 costituzionalita'   di   cui   trattasi  riveste  necessariamente  il
 prescritto carattere di rilevanza al fine della decisione  definitiva
 sulla domanda di sospensione del provvedimento negativo impugnato col
 ricorso   in  esame.    Come  reiteratamente  affermato  dalla  Corte
 costituzionale,  infatti,   deve   ritenersi   rilevante   e   quindi
 ammissibile  la  questione di costituzionalita' di una norma di legge
 allorche' il giudice rimettente, pur  mostrando  di  non  condividere
 l'interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza, non ne pretende
 una  revisione  sul piano ermeneutico (effettivamente non consentita:
 cfr. le ordinanze della  Corte  nn.  410  e  44  del  1994),  bensi',
 assumendo  proprio  quella interpretazione come "diritto vivente", ne
 chiede  una  verifica  sul  piano  della  costituzionalita',  il  che
 innegabilmente invece rientra nel sindacato di legittimita' riservato
 alla  Corte  (cfr.  in  termini, fra le piu' recenti, le sentenze: n.
 188 del 23 maggio 1995, punto 3.2 della motivazione;  n.  58  del  24
 febbraio  1995,  punto 2 della motivazione; n. 110 del 6 aprile 1995,
 punto 2.1 della motivazione; n. 345 del 21 luglio 1995, punto 2 della
 motivazione; n. 456 del 27 luglio 1989, punto 2  della  motivazione).
 La  stessa  Corte  ha,  anzi,  significativamente  precisato  che  la
 question  e di costituzionalita' e' validamente posta anche quando il
 giudice a quo, affermando motivatamente di dubitare dell'orientamento
 giurisprudenziale prevalente o dominante, ritiene di dovere applicare
 la disposizione  contestata  in  un  diverso  o  opposto  significato
 normativo,  sempreche' l'intepretazione offerta non risulti del tutto
 implausibile, e cioe' palesemente arbitraria" (cosi' la  sentenza  n.
 58  del  1995,  sopra citata, punto 2 della motivazione, che richiama
 numerosi altri precedenti giurisprudenziali della Corte nello  stesso
 senso).    Nella  specie,  invero,  risulta  evidente che l'eventuale
 adesione  acritica  di  questo  collegio  alla  tesi   interpretativa
 propugnata  dal  C.G.A.,  quale  esclusivo  giudice d'appello avverso
 tutte  le  pronunzie  giurisdizionali  del  T.A.R.  Sicilia,  avrebbe
 determinato  il  rigetto  della domanda di sospensione, con ordinanza
 "propulsiva", del provvedimento negativo  impugnato  col  ricorso  in
 esame;  laddove,  se  l'ultimo  comma  dell'art.  21  della  legge n.
 1034/1971 venisse dichiarato incostituzionale dal giudice delle leggi
 nella parte in cui non prevede espressamente la  sospendibilita'  dei
 provvedimenti  negativi  dell'Amministrazione con ordinanze cautelari
 "propulsive",   il   collegio   potra'   pervenire   all'accoglimento
 definitivo  della  predetta  domanda  cautelare. La risoluzione della
 questione   in   esame,   quindi,   si    pone    assolutamente    ed
 incontrovertibilmente,  a  norma  dell'art.  23, secondo comma, della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, quale  necessaria  pregiudiziale  per  la
 definizione   della   lite  cautelare  portata  alla  cognizione  del
 collegio,  dato  che,  come  si e' detto, soltanto la declaratoria di
 illegittimita' costituzionale parziale della  disposizione  di  legge
 denunziata  consentira' al collegio di pronunziarsi definitivamente e
 positivamente  sulla  predetta  domanda  cautelare   (temporaneamente
 accolta,  come  si e' gia' precedentemente accennato, sino alla prima
 Camera di  consiglio  utile  dopo  la  restituzione  degli  atti  del
 giudizio   da  parte  della  Corte  costituzionale  a  seguito  della
 decisione in ordine alla sollevata questione di costituzionalita')  e
 sulla  eventuale  domanda di esecuzione dell'ordinanza di sospensione
 "propulsiva"    ove    l'Amministrazione    non    vi    ottemperasse
 spontaneamente.  In proposito, poi, e' appena il caso di osservare:
     1)  che  il  requisito della rilevanza permane, ovviamente, anche
 nei casi (come quello in esame)  in  cui  il  giudice  amministrativo
 disponga con separata ordinanza - contemporaneamente all'ordinanza di
 rimessione  alla  Corte - la sospensione provvisoria e temporanea dei
 provvedimenti impugnati fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo
 l'incidente di costituzionalita', posto che una tale  pronunzia,  per
 la  sua  natura  meramente  temporanea  ed  interinale, non determina
 l'esaurimento del potere cautelare  del  giudice  a  quo  (cfr.,  fra
 altre,  Corte  costituzionale,  23 luglio 1991, n. 367, punto 2 della
 motivazione, e 12 ottobre 1990, n. 444, punto 3 della motivazione);
     2) e che la sussistenza della predetta rilevanza va valutata allo
 stato degli  atti  al  momento  della  emanazione  dell'ordinanza  di
 rimessione,   restando  guindi  ininfluenti  le  eventuali  pronunzie
 adottande o adottate successivamente dal giudice d'appello (cfr., fra
 altre, la predetta sentenza n. 367/1991, ibidem).  Muovendo,  quindi,
 dalla   incontrovertibile  constatazione  di  fatto  della  suesposta
 costante interpretazione del C.G.A. che si pone in palese e stridente
 contrasto con  i  richiamati  principi  e  valori  costituzionali  in
 materia (oltre che con le menzionate pronunzie dell'adunanza plenaria
 e  della Corte costituzionale), ed alla luce dei cennati principi, il
 tribunale non puo' che trarne le logiche ed  inevitabili  conclusioni
 affermative in ordine alla sussistenza del primo requisito prescritto
 dalla legge (la rilevanza della questione) affinche' il giudice a quo
 possa sollevare questioni di costituzionalita'.
   5.  -  Quanto  al  requisito della non manifesta infondatezza della
 questione  di  costituzionalita'  di  cui  si  discute,  ritiene   il
 Tribunale   che,   alla   stregua   della   costante  interpretazione
 restrittiva del C.G.A. (sopra diffusamente esposta) da assumere quale
 "diritto  vivente",  l'ultimo  comma  dell'art.  21  della  legge  n.
 1034/1971,  che  attribuisce  al  giudice  amministrativo  il  potere
 cautelare di  sospendere  l'esecuzione  dei  provvedimenti  impugnati
 allorche'  il ricorrente alleghi danni gravi e irreparabili, si ponga
 effettivamente in stridente contrasto, sotto molteplici profili,  con
 gli  artt.  3, primo comma, 24, secondo comma, e 113, primo e secondo
 comma, della Costituzione.
   6.1.  -  Occorre  innanzitutto  osservare  in  proposito  che   gli
 interessi legittimi alla acquisizione, e non alla mera conservazione,
 di  un  bene  della  vita  (c.d. interessi legittimi pretensivi) sono
 caratterizzati, per quanto qui rileva, dal fatto  che  l'annullamento
 giurisdizionale   dei  provvedimenti  negativi  e  dei  comportamenti
 omissivi  illegittimi,   lesivi   di   tali   situazioni   giuridiche
 soggettive,  non costituisce il loro momento finale di realizzazione.
 E' vero, infatti, che ad ogni sentenza amministrativa  d'annullamento
 consegue  immediatamente - stante la sua esecutivita' anche prima del
 passaggio in giudicato (art. 33  legge  n.  1034/1971)  -  oltre  che
 l'effetto  costitutivo o di eliminazione del provvedimento impugnato,
 e  quello  di  ripristinazione  delle  situazioni  e  degli  atti   e
 provvedimenti   travolti   dal   provvedimento   annullato   in  sede
 giurisdizionale, anche il c.d. effetto  conformativo  od  obbligo  di
 conformarsi  (a  meno che non si tratti, ovviamente, di sentenze c.d.
 autoesecutive),  consistente,  com'e'   noto,   nell'identificazione,
 esplicita  o  implicita,  del  modo corretto di esercizio del potere,
 nella  fissazione  della  corretta   sistemazione   degli   interessi
 coinvolti  nella  pronunzia,  nella determinazione cioe' - con valore
 vincolante per la successiva azione amministrativa  -  del  contenuto
 precettivo  del dovere dell'Amministrazione nel singolo caso concreto
 (cfr., fra le tante: C. S., VI, 12 aprile 1986, n.  310;  C.G.A.,  23
 giugno 1984, n. 79; T.A.R. Sicilia - Catania, II, 8 febbraio 1993, n.
 92,  18  febbraio  1981,  n.  84,  e  9 dicembre 1981, n. 625; T.A.R.
 Campania - Salerno, 19 marzo 1983, n. 135). Ma  e'  egualmente  vero,
 pero',   che   l'esecuzione   delle   sentenze   di  annullamento  di
 provvedimenti negativi e silenzi-rifiuti assumono  una  rilevanza  od
 una  valenza  meramente  strumentale  in  quanto  la  loro esecuzione
 richiede la  rinnovazione  da  parte  della  p.a.  del  provvedimento
 negativo  annullato o (nel caso di silenzio-rifiuto) l'effusione, per
 la prima volta, di attivita' amministrativa, finalizzate entrambe (la
 rinnovazione del  provvedimento  o  la  sua  prima  emanazione)  alla
 realizzazione  del c.d. effetto conformativo nascente dalla pronunzia
 giurisdizionale (combinato disposto dell'art.    26,  secondo  comma,
 legge n. 1034/1971, e dell'art. 45, primo comma, R.D. 26 giugno 1924,
 n.  1054,  che  prevedono  l'emanazione  di  "ulteriori provvedimenti
 dell'autorita'   amministrativa"    a    seguito    dell'annullamento
 giurisdizionale, nonche' dell'art. 88 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, il
 quale  prescrive  che  "l'esecuzione  delle  decisioni  si  fa in via
 amministrativa", e del  precedente  art.  65,  n.  5,  che  prescrive
 l'inserimento  nella sentenza dell'ordine che la stessa "sia eseguita
 dall'autorita' amministrativa"); attivita' dalle quali soltanto -  o,
 in difetto, dal giudizio di ottemperanza previsto dall'art. 27, n. 4,
 R.D.  n.  1054/1924 e dall'art. 37 legge n. 1034/1971 - il ricorrente
 vittorioso  potra'  conseguire  effettivamente  il  bene  della  vita
 oggetto  dell'interesse  legittimo  di  cui  e' titolare (cfr. in tal
 senso, fra altre, C. S., V, ordinanza 28 settembre 1987, n.  530-bis,
 punto  3 della motivazione).  Cio' posto, occorre ora rilevare che da
 oltre un ventennio la stessa Corte Costituzionale (si vedano le  gia'
 menzionate sentenze 27 dicembre 1974, n. 284, 17 luglio 1975, n. 227,
 e  1  febbraio  1982,  n.  8),  in  conformita'  ai principi e valori
 costituzionali fissati dagli artt.  3,primo comma, 24, secondo comma,
 103, primo comma,  e  113  Cost.,  ha  posto  in  luce  il  carattere
 essenziale  del procedimento cautelare amministrativo e la sua intima
 compenetrazione con il processo di merito nell'ambito della giustizia
 amministrativa, dato che in essa si avverte  maggiormente  l'esigenza
 di  misure  cautelari che consentano di anticipare, sia pure a titolo
 provvisorio, l'effetto tipico  della  pronunzia  finale  del  giudice
 amministrativo,  permettendo  che questa intervenga re adhuc integra,
 rendendo in concreto possibile la  soddisfazione  dell'interesse  che
 risulti  nel processo meritevole di tutela (cosi', in particolare, la
 sentenza n. 8/1982, punto 3 della motivazione).
   6.2.  - A seguito, quindi, della cennata giurisprudenza della Corte
 che ha reiteratamente affermato il principio secondo  cui  la  tutela
 cautelare nel giudizio amministrativo e' coperta, senza alcun limite,
 dalla  garanzia  costituzionale scaturente dai precetti contenuti nei
 predetti artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 103, primo comma, e
 113 della Carta fondamentale, anche l'Adunanza plenaria del Consiglio
 di Stato, muovendosi sostanzialmente nello stesso ordine di idee,  ha
 recepito  tale  orientamento  garantistico  affermando  che - come si
 precisera' piu'  ampiamente  appresso  -  la  tutela  cautelare  deve
 necessariamente  ammettersi anche in relazione al silenzio-rifiuto ed
 ai provvedimenti negativi (in tutto o in parte)  che  incidono  sugli
 interessi  legittimi  alla  acquisizione  di un bene (c. d. interessi
 pretensivi), affinche'  l'Autorita'  competente,  nel  dare  doverosa
 esecuzione  all'ordinanza di sospensione del comportamento omissivo o
 dell'atto negativo impugnato disponga con riserva, e guindi sino alla
 definizione  nel   merito   della   controversia,   l'emanazione   di
 provvedimenti  legittimi  finalizzati  a  tale esecuzione (cfr. A.P.,
 sentenza 30 aprile 1982, n. 6, e ordinanze n. 17 dell'8 ottobre 1982,
 n. 14 del 1 giugno 1983, gia' citate al punto 4.1. che precede). Ed a
 tale  incisivo  indirizzo  ha  finito  per  aderire  quasi  tutta  la
 giurisprudenza  amministrativa  di  primo  grado e parte di quella di
 appello  (cfr.  fra  le  tante  ordinanze  nello  stesso  senso,  con
 riferimento  al  silenzio-rifiuto: T.A.R. Lazio, II, 14 gennaio 1986,
 n. 50, C.G.A., 21 febbraio 1991, n. 64, e 18 luglio 1991, n. 260;  ma
 soprattutto,  con  riguardo a provvedimenti negativi di vario genere:
 T.A.R. Lombardia - Milano, III, 6 dicembre 1988,  n.  575,  e  I,  11
 gennaio 1989, n. 45; T.A.R. Campania - Napoli, I, 13 gennaio 1993, n.
 9; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, I, 28 ottobre 1993, n. 734; T.A.R.
 Lazio, I, 22 giugno 1994, n. 1644, e 7 dicembre 1994, n. 2915; T.A.R.
 Sicilia  -  Catania, Sez. I: nn. 282, 561 e 619 del 1985, e nn. 567 e
 732 del 1986; Sez. II: n. 542 del 1989, nn.  306 e 898 del  1990,  n.
 128 del 1991, e nn. 82, 136, 137, 138 e 184 del 1992; e Sez. III: nn.
 291,  294,  802,  929  e 1260 del 1993, nn.  1748, 1752, 1782, 1790 e
 1798 del 1994, e nn. 1368, 2831  e  2847  del  1995;  C.  S.,  V,  28
 settembre  1987,  n.  530-bis,  punto 3 della motivazione, gia' sopra
 citata; C. S., VI, 14 maggio 1993, n.  349;  C.S.,  V,  24  settembre
 1993, n. 1312).  Con tale consolidato orientamento giurisdizionale si
 e'  in  particolare  affermato  -  pur nella varieta' degli enunciati
 motivatori - che  la  sospensione  dell'efficacia  del  provvedimento
 negativo  o  del comportamento omissivo - provocando (nel primo caso)
 l'inidoneita' temporanea del  diniego  esplicito  a  disciplinare  un
 determinato  rapporto  giuridico amministrativo, o (nel secondo caso)
 la necessita' dell'emanazione di un atto che definisca per  la  prima
 volta  tale  rapporto  -  determina  (nel primo caso) la riviviscenza
 giurisdizionale  del  dovere  dell'Amministrazione   di   provvedere,
 regolando  ex novo e medio tempore la situazione, oppure (nel secondo
 caso)  la   mera   dichiarazione   o   riaffermazione   dell'obbligo,
 preesistente  alla  pronunzia  cautelare,  di  imprimere per la prima
 volta un assetto agli interessi pubblici e privati  coinvolti  in  un
 determinato  procedimento; e cio' perche' la negazione di tali doveri
 concreterebbe   una   inammissibile   esclusione   sostanziale    dei
 comportamenti  omissivi  e dei provvedimenti negativi dell'area della
 tutela cautelare, in contrasto con il principio in base al  quale  il
 potere  di sospensione non puo' avere limiti piu' ristretti di quelli
 del  potere  di  annullamento,  in  quanto la sua esclusione o la sua
 limitazione  con   riguardo   a   determinate   categorie   di   atti
 amministrativi  violerebbe  sia  il principio di eguaglianza (art. 3,
 primo comma, Cost.), sia ancora  quello  della  inviolabilita'  della
 difesa  in  ogni  stato  e  grado  del procedimento (art. 24, secondo
 comma, Cost.), sia,  infine,  il  principio  dettato  dall'art.  113,
 secondo comma, Cost., in base al quale la "tutela giurisdizionale non
 puo'  essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o
 per determinate categorie di atti" (cfr. Corte Cost. n. 284/1974 e n.
 8/1982, citt., e,  in  particolare,  le  ordinanze  di  questa  terza
 Sezione  sopra  indicate).    Tale  emanazione,  sia  pure  a  titolo
 provvisorio, e  cioe'  sino  all'esito  definitivo  del  giudizio  di
 merito,  di  provvedimenti finalizzati alla doverosa esecuzione della
 sospensione cautelare dei comportamenti omissivi o dei  provvedimenti
 negativi si rende necessaria in quanto gli effetti della sospensione,
 in  tali ipotesi, non sono ovviamente sufficienti a proteggere in via
 cautelare l'interesse legittimo pretensivo  del  ricorrente,  sicche'
 l'effettivita'   della   tutela  interinale  puo'  essere  realizzata
 soltanto attraverso strumenti diversi e ampiamente eccedenti la  pura
 e   semplice   paralisi  (in  forza  di  misure  cautelari  meramente
 inibitorie: "sospensive") degli effetti formali dell'atto  impugnato,
 e     quindi,     innanzi     tutto,     attraverso     l'imposizione
 all'Amministrazione, con misure cautelari  di  tipo  "ordinatorio"  e
 "propulsivo",  di determinati comportamenti considerati necessari per
 la realizzazione della tutela giurisdizionale (cfr., fra altre, A.P.,
 ordinanza n. 14/1983, cit., paragrafo  3  della  motivazione,  e,  in
 particolare,  le  ordinanze  di questa terza Sezione sopra indicate).
 Tali principi sono stati affermati e  ribaditi  anche  dalle  Sezioni
 unite  della Corte di Cassazione in sede di regolamento preventivo di
 giurisdizione (cfr, fra le piu' recenti pronunzie in tal senso, Cass.
 S.U. 25. febbraio 1995, n. 2149).
   6.3. - La rilevata esigenza costituzionale di assicurare  effettiva
 e  non  effimera  tutela  giurisdizionale  agli  interessi  legittimi
 pretensivi anche nella fase cautelare del giudizio amministrativo ha,
 quindi, determinato, come emerge gia' dall'esposizione  che  precede,
 il  sorgere  e  l'affinarsi  di  tre  forme atipiche ed innominate di
 tutela cautelare del ricorrente titolare di  un  interesse  legittimo
 pretensivo  che,  per definizione, non puo' trovare soddisfazione con
 la mera sospensione del provvedimento impugnato:
     1)  l'ammissione  con  riserva  a   concorsi,   esami,   e   gare
 contrattuali,  a  seguito  della  sospensione  dei  provvedimenti  di
 esclusione da tali procedimenti;
     2) l'ordine all'Amministrazione di riesaminare la  situazione  in
 base  ai  motivi  di ricorso ritenuti fondati, ad un primo esame, dal
 giudice amministrativo (c.d. remand: rinvio);
     3) l'intervento sostitutivo dello stesso giudice.
      1) Quanto alla prima di tali forme atipiche di tutela cautelare,
 e' sufficiente osservare che essa consiste  nell'ordine  del  giudice
 alla   p.a.   di   ammettere  il  candidato  o  l'impresa  ricorrente
 rispettivamente alle prove concorsuali od agli esami  (di  maturita',
 di abilitazione all'esercizio di professioni, ecc.), ovvero alla gara
 contrattuale,  dai  quali  e'  stato escluso, essendo evidente che la
 mera sospensione del provvedimento di esclusione non consente di  per
 se'   al  soggetto  escluso  di  partecipare  effettivamente  a  tali
 procedimenti,  e  che  tale  partecipazione  puo'  essere  assicurata
 soltanto  imponendo  all'Amministrazione  un   preciso   obbligo   di
 comportamento    il    cui    contenuto   e'   costituito,   appunto,
 dall'ammissione  del  soggetto  prima  escluso  ai  procedimenti   in
 questione,  con  riserva  dell'esito definitivo del giudizio (secondo
 un'altra concezione, pure affacciata nella giurisprudenza  cautelare,
 l'ammissione   con   riserva   discenderebbe   invece,   direttamente
 dall'ordinanza cautelare del giudice amministrativo; sicche' dovrebbe
 ricondursi alla categoria degli interventi sostitutivi, di cui  infra
 sub 3).
      2)    L'ordine   impartito   all'autorita'   amministrativa   di
 riesaminare la situazione  tenendo  conto  delle  doglianze  ritenute
 fondate  ad un primo esame (c.d. remand: rinvio) comporta egualmente,
 oltre alla sospensione del provvedimento  negativo  impugnato  (cosi'
 come  nell'ammissione  con  riserva),  l'imposizione  alla p.a. di un
 preciso obbligo di  comportamento  il  cui  contenuto  e'  costituito
 dall'attivita'  di  riesame  di  aspetti od elementi della situazione
 controversa considerati in modo incompleto o comunque inadeguato  dal
 provvedimento  negativo,  o  di  esame  di  aspetti  od  elementi non
 valutati nel corso della sequenza procedimentale conclusasi con  tale
 provvedimento.    Occorre  peraltro  rilevare  in  proposito  che  in
 realta', come messo in luce da un'autorevole dottrina (e come  si  e'
 gia' implicitamente accennato al punto 6.2. parlando di "riviviscenza
 giudiziale  del  dovere dell'Amministrazione di provvedere" l'obbligo
 in capo alla p.a. di adeguata e completa considerazione e valutazione
 dell'interesse legittimo  pretensivo,  in  funzione  della  possibile
 realizzazione dell'interesse al bene della vita, preesiste all'ordine
 di  riesame  emanato  in  sede  cautelare dal giudice amministrativo,
 essendo  correlato  direttamente  ed   immediatamente   allo   stesso
 interesse  pretensivo. Viene cosi' a realizzarsi attraverso la misura
 cautelare di cui trattasi, come pure evidenziato in altri prestigiosi
 contributi dottrinari, una stretta e significativa  integrazione,  un
 nesso  indissolubile,  tra  procedimento  e  processo amministrativo,
 superandosi  il  modello  di  separazione   tra   amministrazione   e
 giurisdizione e quindi tra procedimento e processo amministrativo, la
 cui  peculiare  caratteristica, e' quella di costituire un produttivo
 continuum tra giurisdizione  e  amministrazione.    Del  resto,  alla
 stregua delle piu' recenti configurazioni dogmatiche, il procedimento
 amministrativo,  se  e'  forma  della  funzione  ed  anzi  in essa si
 identifica, non puo' considerarsi chiuso e definito con  l'emanazione
 del  provvedimento finale, ma deve ritenersi sostanzialmente "aperto"
 nel senso che deve consentire l'apertura ad interessi successivamente
 introdotti (perche' non considerati  o  inadeguatamente  considerati)
 sia  attraverso  l'intervento  del giudice sia in sede di autotutela.
 Ma, ovviamente, il procedimento amministrativo resta  pur  sempre  la
 sede istituzionale per la composizione e definizione degli interessi,
 dato  che  il giudice amministrativo non si sostituisce all'autorita'
 amministrativa, a meno  che,  come  si  precisera'  meglio  appresso,
 l'ordinanza  propulsiva  non  resti  ineseguita  ed  il ricorrente ne
 chieda l'esecuzione.
      3) La misura cautelare, dell'intervento sostitutivo del  giudice
 amministrativo,  poi,  e'  lo  strumento mediante il quale il giudice
 amministrativo, nelle ipotesi in cui non e'  possibile  o  si  rivela
 tardivo  e  quindi inutile ordinare all'Amministrazione il riesame di
 una  situazione  che non consente alcun indugio (in quanto non esiste
 alcuna alternativa per evitare  la  perdita  irrimediabile  del  bene
 della   vita),   assicura   l'effettivita'  della  tutela  interinale
 disponendo   direttamente   misure   provvisorie   sostitutive    del
 provvedimento  negativo impugnato e sospeso (si pensi alle ipotesi di
 iscrizione con riserva in elenchi o albi  professionali,  e  che  non
 possono  configurarsi  tecnicamente  come  ammissioni  con riserva in
 senso proprio dato che tali misure cautelari  non  producono  effetti
 meramente  procedimentali  ma attribuiscono direttamente al soggetto,
 sul piano sostanziale, quelle utilita' negategli dal provvedimento di
 esclusione o di rigetto della domanda di  iscrizione:  cfr.,  fra  le
 tante, T.A.R. Sicilia - Catania, terza Sez., ordinanze n. 2267 del 18
 settembre   1995   e  n.  2323  del  21  settembre  1995;  per  altre
 fattispecie, nelle quali si e' ritenuta necessaria tale  attribuzione
 diretta  del  bene  della  vita, si veda: T.A.R. Toscana, ordinanza 8
 novembre 1989, n. 544, che autorizza con prescrizioni l'agibilita' di
 due gruppi termoelettrici; T.A.R. Sicilia -  Catania,  seconda  Sez.,
 ordinanza  29  luglio  1988,  n.  263,  che ordina il rilascio in via
 provvisoria della licenza di abitabilita'; T.A.R. Sicilia -  Catania,
 ordinanza  26  maggio  1985, n. 282, sopra gia' citata al punto 6.2.,
 che reca autorizzazione provvisoria all'insegnamento; T.A.R.  Sicilia
 -  Catania,  terza  Sez.,  ordinanze  14 settembre 1993, n. 802, e 29
 settembre 1993, n. 929, sopra gia' citate al punto 6.2., con le quali
 viene ordinata l'ammissione con riserva della societa' sportiva "Club
 Calcio Catania S.p.a." al campionato di calcio serie  C1,  pubblicate
 in  Cons.  Stato, n. 10/1993, parte I, pag. 1343 e sg., e pag. 1350 e
 sg).   Occorre appena rilevare ancora, in  proposito,  che  in  molte
 delle  fattispecie  in relazione alle quali il giudice amministrativo
 adotta pronunzie interinali riconducibili alle tre cennate  categorie
 atipiche  di  ordinanze  cautelari; e precisamente in tutti i casi in
 cui la realizzazione dell'interesse pretensivo al conseguimento od al
 godimento di un bene della vita risulta limitata dalla  normativa  di
 settore  in  un  arco di tempo molto ristretto (come nelle ipotesi di
 conferimenti di incarichi temporanei di insegnamento per  periodi  di
 un  anno  o  inferiori  all'anno,  di  autorizzazioni  o  concessioni
 provvisorie o stagionali, di ammissioni  ad  esami  di  maturita',  a
 classi scolastiche successive, ad esami di abilitazione all'esercizio
 di  professioni,  a gare d'appalto, di iscrizioni a gare o campionati
 sportivi che si esauriscono nel rapido trascorrere di un prestabilito
 e breve periodo di tempo, e cosi' via), il periculum  in  mora  e  la
 conseguente  esigenza  di tutela immediata attraverso l'emanazione di
 ordinanze "propulsive" (ammissioni con riserva e ordini di  riesame),
 o  di  ordinanze  che  integrano  interventi  sostitutivi diretti, si
 rivelano immanenti, e quindi in re ipsa.  E  cio'  sia  perche',  per
 l'ontologica  fragilita'  degli  interessi  legittimi (soprattutto di
 quelli pretensivi) e, quindi, per la loro naturale deteriorabilita' a
 causa dell'infruttuoso decorso del  tempo,  il  conseguimento  od  il
 godimento del bene della vita non e' ovviamente piu' ottenibile, "ora
 per  allora",  dopo  che  sia  trascorso il periodo di tempo previsto
 nelle varie ipotesi (o addirittura, nell'ipotesi di partecipazione  a
 gare  o campionati sportivi dopo che, rispettivamente, sia iniziato a
 decorrere tale periodo, o si sia consumata una parte  non  esigua  di
 tale periodo); sia anche perche', alla stregua dei principi enucleati
 ed elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di effetti
 dell'ordinanza  cautelare,  in  tutti  i casi in cui la situazione di
 fatto  o  di  diritto  si  sia  ulteriormente  ed   irrimediabilmente
 modificata  nel  pur  breve  lasso  di  tempo  intercorrente  tra  la
 proposizione del ricorso e la data della camera di consiglio  fissata
 per  la  discussione  della domanda cautelare viene a delinearsi, sul
 piano logico ancor prima che su quello giuridico, un  altro  ostacolo
 alla  sospensione  del  provvedimento amministrativo, di guisa che la
 misura cautelare,  ove  non  si  anticipi  tale  data,  non  potrebbe
 comportare  alcun  risultato utile per il ricorrente.  Ne', a maggior
 ragione, il conseguimento o godimento del  bene  e'  piu'  ottenibile
 dopo la definizione (a distanza di molti anni) del giudizio di merito
 con  sentenza  di  accoglimento passata in giudicato.  L'incidenza, a
 volte  drammatica,  del  fattore  tempo  sul  processo  rende  quindi
 evidente,  al  di  la' di ogni ragionevole dubbio, che l'effettivita'
 della giustizia amministrativa risiede e si esaurisce quasi sempre in
 una tempestiva tutela cautelare idonea  ad  eliminare  (o  quantomeno
 attenuare),   anche   attraverso   le  cennate  misure  atipiche,  il
 deterioramento della posizione sostanziale del ricorrente destinata a
 subire modifiche sempre  piu'  gravi,  e  spesso  irreversibili,  per
 effetto del solo decorso del tempo. Prima ancora che a far giustizia,
 dunque,   la   tutela   cautelare   serve   a   garantire  l'efficace
 funzionamento della giustizia, essendo  per  definizione  finalizzata
 piu'  che  ad  attuare  il  diritto ad assicurare l'efficacia pratica
 della pronunzia di merito che servira'  ad  attuare  direttamente  il
 diritto.  Sicche',  come  acutamente  osservava  uno dei piu' insigni
 studiosi del processo civile, deve necessariamente ritenersi  che  in
 tutti gli ordinamenti processuali le misure cautelari mirano, al pari
 dei   provvedimenti   che  il  diritto  inglese  comprende  sotto  la
 denominazione di "Contempt of the court" a  salvaguardare  l'imperium
 judicis,  ossia  ad impedire che la sovranita' dello Stato, nella sua
 piu' alta espressione, che e' quella della giustizia,  si  riduca  ad
 essere   una   tarda   ed   inutile  espressione  verbale,  una  vana
 ostentazione di lenti congegni, destinati, come le guardie dell'opera
 buffa, ad arrivare sempre troppo tardi.
   7. - Ora, nel delineato  quadro  ricostruttivo  del  sistema  della
 tutela  cautelare  nel  giudizio  amministrativo,  e contrariamente a
 quanto affermato dal C.G.A. al punto d) dell'ordinanza n. 358/1994 (e
 negli enunciati motivatori del tradizionale orientamento  dottrinario
 e   giurisprudenziale,  ormai  largamente  minoritario,  che  ritiene
 inammissibile in via di principio la  sospensione  dei  provvedimenti
 negativi,  ad  eccezione di alcune particolari categorie di dinieghi,
 quali le esclusioni da concorsi, esami, e gare di appalto, i dinieghi
 di rinnovo di concessione, ed i dinieghi  di  dispensa  dal  servizio
 militare),  non  puo'  revocarsi  in dubbio che le predette ordinanze
 cautelari  "ordinatorie"  o   "propulsive"   non   attribuiscono   al
 ricorrente  alcuna utilita' ulteriore rispetto a quelle che lo stesso
 ritrarrebbe da una immediata decisione del merito in senso favorevole
 (come pure si ritiene pacificamente possibile nelle  cennate  ipotesi
 di  ammissione con riserva a procedimenti concorsuali, ad esami, ed a
 gare d'appalto).  Ed invero, tali ordinanze si limitano ad anticipare
 gli effetti che derivano, secondo i  principi  generali  in  materia,
 dall'annullamento del provvedimento impugnato, determinando l'obbligo
 per  la  p.a. di provvedere in senso favorevole al ricorrente, ovvero
 anche  di  nuovo in senso sfavorevole, purche' su presupposti diversi
 da  quelli   gia'   esaminati   in   sede   cautelare   dal   giudice
 amministrativo.    Del  resto,  e' ovvio che il principio secondo cui
 l'area coperta dalla tutela cautelare non puo' essere piu' estesa  di
 quella  che la sentenza di merito possa di per se' assicurare e' gia'
 implicito  nella  costruzione  teorica  dell'istituto  cautelare  nel
 processo amministrativo, ove si consideri che l'interesse ad agire in
 via  cautelare  coincide,  sul  piano  sostanziale,  con la posizione
 soggettiva che legittima la proposizione della domanda giudiziale  di
 merito,  e  che  il potere esercitabile dal giudice amministrativo in
 sede cautelare e' di natura identica a quella del potere spettantegli
 in sede di merito (cfr.  A. P., ord. n. 17/1984, cit., punto 3  della
 motivazione).    Ed  e'  altresi'  ovvio  che,  se  il  c.d.  effetto
 conformativo e' (come si e' gia' accennato al punto 6.1. che precede)
 quello che caratterizza maggiormente la sentenza amministrativa ed il
 giudicato  amministrativo,  e  se   l'attivita'   amministrativa   di
 rinnovazione  del  provvedimento annullato e', cosi' come il giudizio
 di ottemperanza, funzionalmente dipendente dal  giudicato,  l'effetto
 anticipatorio  della  misura  cautelare,  in una visione unitaria del
 processo amministrativo, deve  rapportarsi  all'utilita'  finale  del
 provvedimento  satisfattivo  e  non  a quella, meramente strumentale,
 dell'annullamento recato dalla sentenza di merito  (cfr.  C.  S.,  V,
 ord.  n.  530-bis/1987,  cit.,  punto 3 della motivazione).  Non puo'
 seriamente disconoscersi,  quindi,  la  sostanziale  coincidenza  tra
 l'ambito  della  tutela  cautelare e quella della tutela conseguibile
 con la sentenza di merito, a seguito della sua  spontanea  esecuzione
 da  parte  dell'Amministrazione  ovvero,  nell'ipotesi di inerzia e/o
 elusione del giudicato, a seguito della sua esecuzione attraverso  il
 giudizio  di  ottemperanza.  Deve,  quindi,  ritenersi che il giudice
 della cautela puo' spingersi fin dove puo' quello dell'ottemperanza.
   8. - Non si puo', poi, condividere in alcun modo la tesi  sostenuta
 dal C.G.A. al punto b) della stessa ordinanza n. 358/1994 ed al punto
 4 dell'ordinanza n. 178/1995 (oltre che dal tralaticio e conservatore
 orientamento  dottrinario e giurisprudenziale cui sopra si accennava)
 secondo cui le ordinanze "propulsive" od "ordinatorie"  in  questione
 non  sarebbero ammissibili nei casi in cui i provvedimenti interinali
 che la p.a.  dovrebbe  emanare  per  ottemperarvi  immutino  in  modo
 tendenzialmente   irreversibile  la  situazione  controversa.    Tali
 misure, invero, non mettono affatto fine alla lite  cautelata  e  non
 rendono  inutile  la successiva fase processuale di cognizione piena,
 in quanto il riesame dell'attivita' provvedimentale (o, nel  caso  di
 comportamento  omissivo, l'esercizio, per la prima volta, del potere)
 viene  posto  in  essere  dall'Amministrazione   interinalmente,   in
 esecuzione   dell'ordine   del   giudice,   e  si  fonda  su  di  una
 illegittimita' altamente probabile delle precedenti determinazioni  o
 della precedente inattivita' (oggetto di "sospensiva"), che abbisogna
 pur  sempre  della  conferma  definitiva  della  sentenza  di merito.
 Occorre  poi  soggiungere  che  anche  la   "sospensiva"   di   molti
 provvedimen  ti positivi restrittivi (ordini, atti di ritiro, atti di
 sospensione,  ecc.)  puo'  incidere  in  maniera  irreversibile sugli
 interessi  in  gioco,  senza  che  sia  stata  mai  posta  in  dubbio
 l'ammissibilita'  di  tali provvedimenti cautelari (basti pensare, ad
 esempio,  alla  "sospensiva"  del  divieto  di   attivita'   ritenuta
 inquinante,  che puo' incidere in modo irreparabile sull'ambiente, ed
 alla   "sospensiva"   della   sospensione   dei   lavori   edilizi  o
 dell'annullamento di  concessione  edilizia  che  modifica  l'assetto
 territoriale proprio nello stesso modo in cui lo si fa attribuendo in
 via cautelare la concessione edilizia richiesta e denegata), di guisa
 che   il  cennato  argomento  contrario  dell'irreversibilita'  degli
 effetti e della fine della lite cautelata  (addotto  ex  adverso)  si
 rivela  fallace  nella  misura  in  cui finirebbe per provare troppo,
 posto che, ove si aderisse a tale tesi, si dovrebbero escludere dalla
 tutela  cautelare  tutte  le  categorie  di  provvedimenti   positivi
 restrittivi  (quali  quelli  sopra  indicati la cui "sospensiva" puo'
 incidere    irreversibilmente  sugli  interessi  pubblici  sottesi  e
 coinvolti,   ne'  piu'  ne'  meno  di  guanto  potrebbe  incidere  la
 "sospensiva" di provvedimenti negativi  e  la  successiva  emanazione
 interinale del provvedimento richiesto.
   9.  -  E'  necessario rilevare ancora, in proposito, che egualmente
 erroneo si appalesa  l'ulteriore  argomento  contrario,  addotto  dai
 fautori  del  cennato  orientamento  conservatore  e poco garantista,
 secondo  cui  il  giudice  amministrativo  deve   giudicare   e   non
 amministrare, e pertanto non potrebbe sostituirsi all'Amministrazione
 come   invece  avverrebbe  con  l'emanazione  in  sede  cautelare  di
 provvedimenti ampliativi denegati,  espressamente  o  implicitamente,
 dall'autorita'  amministrativa.    E  cio'  per  varie  ragioni,  che
 possono, in estrema sintesi, riassumersi come segue:  a) perche' tale
 assunto   disconosce    apertamente,    senza    alcuna    plausibile
 giustificazionei  il  potere (espressamente attribuito dall'art.  26,
 secondo comma, della legge 6 dicembre  1971,  n.  1034)  del  giudice
 amministrativo,  in  sede  di giurisdizione di merito (qual'e' anche,
 come si vedra' appresso sub 10.2.B), la giurisdizione cautelare),  di
 riformare o sostituire i provvedimenti impugnati; cosi' finendo anche
 per  disconoscere  la  stessa  peculiare  funzione  del  giudizio  di
 ottemperanza o di esecuzione  del  giudicato  e  di  tutte  le  altre
 ipotesi di giurisdizione di merito; b) perche' tutta la giurisdizione
 e',  in ultima analisi, "sostituzio     ne", in quanto, come posto in
 luce da una notissima quanto autorevolissima teoria  precessualistica
 che  ha avuto largo seguito e successo, il giudice attua norme di cui
 sono destinatarie le parti, nelle  ipotesi  in  cui  tali  norme  non
 vengano  spontaneamente  osservate,  cosi'  sostituendosi  alle parti
 inadempienti, ivi comprese, ovviamente, le Pubbliche Amministrazioni;
 c) perche', alla stregua delle ricostruzioni  dogmatiche  del  nostro
 sistema  effettuate  dalla  piu' autorevole ed avvertita dottrina, il
 processo   amministrativo   costituisce   momento   di   cooperazione
 all'esercizio  del  potere, di guisa che, in realta', puo' affermarsi
 ben a ragione che, secondo la notissima  espressione  della  dottrina
 francese,  "giudicare  l'amministrazione e' amministrare"; d) perche'
 infine, e su di un piano piu' generale, deve  necessariame        nte
 ritenersi  che, anche in conseguenza ed in applicazione del principio
 della inviolabilita' del diritto di difesa in ogni stato e grado  del
 processo  (art.  24,  secondo  comma, Costituzione) e dei principi in
 materia di tutela giurisdizionale nei confronti  dell'Amministrazione
 dettati  dagli  artt. 103 e 113 della Costituzione, il nostro sistema
 di giustizia  amministrativa,  quale  risulta  dalle  relative  leggi
 processuali  interpretate  alla luce di tali precetti costituzionali,
 garantisce alla parte privata il recupero nel processo amministrativo
 di quell'eguaglianza di posizioni con l'Amministrazione  che  non  ha
 nei   procedimenti   amministrativi  tipici  degli  Stati  a  diritto
 amministrativo, quale il nostro.
   10.1. - Non appare condividibile,  inoltre,  l'ulteriore  tesi  del
 C.G.A.,  esposta  ai  punti  1,  2  e  3  della predetta ordinanza n.
 178/1995, secondo cui, in sintesi,  la  giurisdizione  cautelare  non
 potrebbe  ricondursi  nell'ambito  della  giurisdizione  di merito in
 quanto non sussisterebbe  alcuna  analogia  funzionale  tra  giudizio
 cautelare  e  giudizio  d'ottemperanza,  di  guisa  che non sarebbero
 ammissibili nella fase cautelare  misure  sostitutive  che  impongano
 alla  P.A  incisivi  obblighi di esecuzione.  Occorre preliminarmente
 osservare in proposito che nei casi in cui l'ordinanza di sospensione
 del provvedimento o del silenzio-rifiuto impugnato non sia di per se'
 sufficiente a garantire l'effettivita'  della  tutela  dell'interesse
 fatto valere dal ricorrente, ovvero nei casi in cui l'Amministrazione
 rifiuti  o eluda l'esecuzione dell'ordinanza cautelare, l'interessato
 ben  puo'  adire  nuovamente  il  giudice  amministrativo   chiedendo
 l'emanazione  dei  provvedimenti  ritenuti  idonei  (e consentiti dal
 sistema) per assicurare l'esecuzione della sospensione, con le  forme
 stabilite  per  l'ordinario  giudizio  di  sospensione  del  quale la
 domanda stessa rappresenta nulla piu' che una fase integrativa (cfr.,
 fra altre: A.P. 30 aprile 1982, n.  6,  punto  6  della  motivazione,
 cit.; A.P., 5 settembre 1984, n. 17, punto 1 della motivazione, cit.;
 C.  S., VI, 3 aprile 1985, n. 119; T.A.R. Lazio, I, 6 luglio 1985, n.
 823).   Cio' posto,  occorre  appena  ricordare  che  con  la  stessa
 sentenza  n.  6/1982  (punto 5 della motivazione) l'Adunanza plenaria
 del Consiglio di Stato ha chiaramente affermato il principio  secondo
 cui  anche  nella  fase cautelare del giudizio (e non solo in sede di
 esecuzione del  giudicato)  al  giudice  amministrativo  deve  essere
 riconosciuto  il  potere  di  emanare,  direttamente  o  per mezzo di
 commissario ad acta da egli nominato,  provvedimenti  di  vario  tipo
 (costitutivi,   certificativi,  dichiarativi  di  obblighi  a  carico
 dell'Amministrazione),   e   di   imporre   alla   stessa   autorita'
 amministrativa   adempimenti   vari,   analogamente   a  quanto  gia'
 riconosciuto  allo  stesso  giudice  in  relazione  al  giudizio   di
 ottemperanza  dalla stessa A.P. con sentenza n. 23 del 14 luglio 1978
 e, gia' prima, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 75  del  12
 maggio  1977.  Tale  estensione analogica, alla fase cautelare, degli
 amplissimi poteri spettanti al  giudice  amministrativo  in  sede  di
 esecuzione  del  giudicato  viene  innanzi  tutto  motivata,  con  la
 predetta sentenza n. 6/1982, proprio con riferimento alla  "identita'
 della ratio della tutela" cautelare e di quella in sede di esecuzione
 del giudicato (identita' di ratio e conseguente analogia che, come si
 e' detto, vengono invece escluse dal C.G.A.), oltre che con la natura
 decisoria  dell'ordinanza di sospensione (A.P., 20 maggio 1978, n. 1)
 e con "la medesimezza dell'attivita' (e dell'organo) decisionale  che
 -  con  la  sola  limitazione temporale degli effetti prodotti - deve
 potersi  esplicare  in  ogni  caso  nella  pienezza   delle   proprie
 attribuzioni".   L'effettivita' della tutela interinale puo', dunque,
 essere realizzata mediante strumenti diversi e  ampiamente  eccedenti
 la  pura  e  semplice  paralisi degli effetti del provvedimento o del
 silenzio-rifiuto impugnato, e quindi  anche  imponendo  all'autorita'
 amministrativa  la  tenuta  di  determinati comportamenti considerati
 necessari per la realizzazione della tutela giurisdizionale,  vale  a
 dire  degli effetti sostanziali della pronuncia cautelare (cfr. A.P.,
 ord.  n.  14/1983,  punto 3 della motivazione, cit., e Cass. S.U., n.
 2149/1995, cit.).
   10.2. - Occorre poi ulteriormente precisare, al riguardo, che  tale
 esecuzione  in  via  giurisdizionale  delle ordinanze "propulsive" di
 sospensione di provvedimenti negativi  o  di  comportamenti  omissivi
 deve   necessariamente   realizzarsi,   per   definizione,  in  forma
 "specifica" e non  generica,  dato  che,  come  si  e'  succintamente
 accennato, consiste nell'emanazione delle statuizioni giurisdizionali
 necessarie   per   attuare  coattivamente,  e  quindi  concretamente,
 l'ordinanza "propulsiva" di sospensione non  eseguita  spontaneamente
 dall'Amministrazione,  che  avrebbe  dovuto ottemperarvi mediante una
 nuova e provvisoria effusione di attivita' amministrativa finalizzata
 alla realizzazione (con altri atti) del c.d. effetto conformativo (od
 obbligo di conformarsi) alla  pronunzia  del  giudice  amministrativo
 (cfr., fra altre, C. S., V, ord. n. 530-bis/1987, cit., punto 3 della
 motivazione).    Non  sembra  inutile  rilevare  in  proposito che il
 delineato  meccanismo  di  esecuzione  in  forma  "specifica"   delle
 ordinanze  cautelari  in  genere  e,  in  particolare,  di  quelle di
 sospensione di provvedimenti negativi o di silenzi-rifiuti (e  quindi
 concernenti   interessi  legittimi  pretensivi)  trova  la  sua  base
 giuridica  essenzialmente  in  un  triplice  ordine  di  principi  ed
 argomentazioni.
  A)  Il  dovere  della p.a. di provvedere regolando (ex novo o per la
 prima volta) interinalmente la situazione sulla quale  ha  inciso  il
 provvedimento  negativo  (od  il  comportamento  omissivo)  sospeso -
 dovere la cui riviviscenza o  riaffermazione,  come  gia'  detto  sub
 6.2.,   ha   "titolo"   nel   provvedimento   cautelare  del  giudice
 amministrativo  che,  in  un  certo  senso,  viene  a   "novare"   la
 preesistente  potesta'  attribuita all'autorita' amministrativa - non
 puo' che avere per contenuto un obbligo di fare,  la  cui  esecuzione
 coattiva  ad  opera  (esclusiva)  del  giudice amministrativo, stante
 l'analogia con gli obblighi contrattuali  di  fare  o  di  non  fare,
 coercibili  in  forma  specifica  e  cioe' attraverso la consecuzione
 dello stesso oggetto dedotto in obbligazione (artt. 2931 e 2933 C.C.;
 artt. 612 e sg.  C.P.C.), deve necessariamente realizzarsi  in  forma
 anch'essa  "specifica"  (cosi'  come  previsto  per  i  provvedimenti
 d'urgenza  ex  art.  700  C.P.C.    dall'art.  669-duodecies  C.P.C.,
 aggiunto  dall'art. 74 della legge 26 novembre 1990, n. 353), e cioe'
 mediante la sostituzione di provvedimenti cautelari di esecuzione del
 giudice amministrativo (direttamente o a mezzo di commissari ad acta)
 a quelli che la p.a.  inadempiente  avrebbe  dovuto  emanare,  stante
 l'ovvia   e   coessenziale  esecutivita'  immediata  delle  ordinanze
 cautelari nonostante appello (come si desume anche dall'art. 33 legge
 n. 1034/1971 che prescrive l'esecutivita'  immediata  delle  sentenze
 dei  tribunali  amministrativi  regionali:    cfr. fra altre, A.P. n.
 1/1978, punto 3 della motivazione, cit.).
  B) Ed invero, la giurisdizione del giudice  amministrativo  in  sede
 cautelare,   ed  in  particolare  quella  esercitata  nella  fase  di
 esecuzione delle ordinanze  di  sospensione  alle  quali  l'autorita'
 amministrativa  non ha ottemperato, ha caratteri del tutto analoghi a
 quelli del giudizio di ottemperanza o  di  esecuzione  del  giudicato
 previsto  e  disciplinato  dall'art.  27,  n.  4,  T.U.  Cons.  Stato
 approvato con R.D.  26 giugno 1924, n. 1054,  e  dall'art.  37  della
 legge  6  dicembre  1971, n. 1034, istitutiva dei T.A.R. - E poiche',
 com'e'  noto,  il  giudizio  di  ottemperanza  o  di  esecuzione  del
 giudicato costituisce, per espressa previsione normativa del predetto
 art. 27, n. 4, una delle ipotesi tipiche (ed anzi,  com'e'  risaputo,
 la   piu'  importante)  nelle  quali  il  giudice  amministrativo  ha
 giurisdizione di legittimita' estesa al merito (art. 7, primo  comma,
 legge  n.  1034/1971,  art.  27 R.D.   n. 1054/1924, e art. 1 R.D. 26
 giugno  1924,  n.  1058);  anche  la  giurisdizione  cautelare   deve
 ricondursi nell'ambito della giurisdizione di merito, caratterizzata,
 com'e'  altresi'  risaputo,  dal potere del giudice amministrativo di
 riformare o sostituire i provvedimenti impugnati  (art.  26,  secondo
 comma,  legge  6  dicembre  1971,  n.  1034; si veda anche l'art. 45,
 secondo comma, ultimo inciso, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054).  Su tale
 ricostruzione del sistema in materia la giurisprudenza amministrativa
 si  e'  ormai  assolutamente  consolidata  dopo  la  gia'   ricordata
 fondamentale  pronunzia dell'Ad. plen. n. 6/1982 (cfr., fra le tante,
 Cons. St., VI, 2 giugno 1987, n. 350 e n. 701/1989),  con  l'adesione
 della  piu' autorevole dottrina.  L'analogia tra giudizio cautelare e
 giudizio di ottemperanza, e la conseguente riconducibilita' del primo
 nell'ambito della giurisdizione di merito, si  fondano,  infatti,  su
 due  elementi o caratteri peculiari della giurisdizione cautelare che
 conducono l'interprete a tale risultato sistematico.
   1) In tale prospettiva viene innanzi tutto  in  rilievo  l'elemento
 tipico  della  cognizione cautelare costituito dal potere del giudice
 amministrativo - per l'accertamento della effettiva  sussistenza  del
 presupposto  della  gravita'  che deve necessariamente caratterizzare
 (unitamente  alla  irreparabilita')  il  danno  ai  fini  della   sua
 giuridica  rilevanza  ai sensi e per gli effetti dell'art. 21, ultimo
 comma,  legge  n.  1034/1971  -  di  effettuare  una  ponderazione  o
 valutazione   discrezionale   dell'interesse   del   ricorrente   con
 l'interesse  pubblico   dell'Amministrazione   e   con   quello   dei
 controinteressati, in base a criteri o regole desumibili dalla comune
 esperienza,   comparando,   cioe',   il   danno   che   il  permanere
 dell'efficacia del provvedimento impugnato produrrebbe al  ricorrente
 -  tenuto  anche  conto  del periodo di tempo (di solito molto lungo)
 necessario per la trattazione del merito - con il danno che, in  caso
 di    accoglimento    della    domanda    cautelare,    riceverebbero
 l'Amministrazione  e  i  controinteressati  (per   tale   consolidato
 orientamento   giurisprudenziale,   seguito  anche  dalla  prevalente
 dottrina, cfr., fra altre, A. P., n.  1/1978,  cit.,  punto  3  della
 motivazione;  C.  S.,  IV,  n. 146/1985, C.S., VI, ord.  n. 240/1987;
 T.A.R. Sicilia - Catania, II, ord. 14 maggio 1992, n.  240).
   2) Rilevanza  non  minore  e',  poi,  da  attribuire  all'ulteriore
 carattere  tipico  della  giurisdizione  cautelare che va individuato
 nella  gia'  cennata  (sub.  10.1.)  compenetrazione   od   identita'
 sostanziale  della  fase  "integrativa"  di esecuzione dell'ordinanza
 cautelare  e  di  quella,  precedente,  di  emanazione  della  stessa
 ordinanza  rimasta  poi ineseguita, cosi' come inizialmente affermato
 dall'Adunanza plenaria del Consiglio  di  Stato  con  la  piu'  volte
 citata  sentenza n. 6 del 1982 (punto 6 della motivazione) e ribadito
 dalla giurisprudenza successiva (cfr., fra altre:  A.P.  n.  17/1984,
 cit.,  punto  1  della  motivazione; C. S., VI, n. 119/1985, e T.A.R.
 Lazio, I, n. 823/1985, citate al punto 10.1.  che  precede;  e  Cass.
 S.U.,  n.  2149/1995,  citata  al punto 6.2.   che precede). Con tali
 pronunzie viene evidenziato il carattere rigorosamente  unitario  del
 giudizio   cautelare,   nel   quale   non   sembrano   identificabili
 procedimenti distinti di cognizione e di  esecuzione,  in  quanto  il
 potere   cautelare   implica   anche   la   capacita'  di  assicurare
 l'attuazione della misura cautelare con gli ordinari rimedi, "essendo
 l'eseguibilita', anche con  mezzi  coercitivi,  connotato  proprio  e
 indefettibile  del tipo di tutela richiesto con la domanda cautelare"
 (cosi',  testualmente,  A.P.  n.  17/1984,  cit.,   punto   1   della
 motivazione).    Tali  principi  sono stati recentemente affermati ed
 ulteriormente precisati  anche  dalla  Corte  Costituzionale  con  le
 sentenze n. 419 dell'8 settembre 1995 e n. 435 del 15 settembre 1995,
 la   cui   motivazione   al  riguardo  si  articola,  nelle  seguenti
 proposizioni:
     - ... "Una volta intervenuta  una  pronuncia  giurisdizionale  la
 quale   riconosca   come   ingiustamente  lesivo  dell'interesse  del
 cittadino un determinato comportamento  dell'amministrazione,  o  che
 detti   le   misure   cautelari   ritenute  opportune  e  strumentali
 all'effettivita'   della   tutela   giurisdizionale,    incombe    su
 quest'ultima  l'obbligo  di  conformarsi  ad essa; ed il contenuto di
 tale obbligo  consiste  appunto  nell'attuazione  di  quel  risultato
 pratico,   tangibile,  riconosciuto  come  giusto  e  necessario  dal
 giudice";
     - ... "In base al gia' ricordato principio di effettivita'  della
 tutela  deve  ritenersi  connotato  intrinseco  della stessa funzione
 giurisdizionale,   nonche'    dell'imprenscindibile    esigenza    di
 credibilita'  collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche
 coattivamente in caso di necessita', il  rispetto  della  statuizione
 contenuta nella pronuncia e, quindi, in definitiva, il rispetto della
 legge  stessa.    Una  decisione  di  giustizia  che non possa essere
 portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di  impossibilita'
 dell'esecuzione  in forma specifica) altro non sarebbe che un'inutile
 enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e
 113 della  Costituzione,  i  quali  garantiscono  il  soddisfacimento
 effettivo  dei  diritti  e  degli interessi accertati in giudizio nei
 confronti di qualsiasi soggetto:   e quindi anche  nei  confronti  di
 qualsiasi atto della pubblica autorita', senza distinzioni di sorta";
     -  "In  questi  termini  la  previsione di una fase di esecuzione
 coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco
 ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale,  deve  ritenersi
 costituzionalmente necessaria";
     -  "Se  quindi  l'esercizio  di poteri autoritativi al fine della
 effettiva realizzazione della tutela garantita dalla Costituzione  e'
 una   fase   (pur   se  eventuale)  intrinsecamente  complementare  e
 necessaria all'esercizio della giurisdizione, ne deriva, quale logico
 corollario, l'impossibilita' di  operare  distinzioni  di  sorta  tra
 funzioni    giurisdizionali    di    natura    diversa    (ordinaria,
 amministrativa, di legittimita', di merito, esclusiva) per  inferirne
 che   solo  in  alcune,  e  non  in  altre,  detti  poteri  sarebbero
 legittimamente esercitabili";
     - ... "In linea di principio non sono configurabili giurisdizioni
 passibili di esecuzione ed altre in  cui  il  dovere  di  attuare  la
 decisione si arresti di fronte alle particolari competenze attribuite
 al soggetto il cui operato e' sottoposto a giudizio. Al contrario, la
 garanzia  della  competenza cede a fronte della contrapposta garanzia
 di ogni cittadino alla tutela giurisdizionale, la quale rappresenta e
 da'  contenuto  concreto,  in  definitiva,  alla  garanzia della pari
 osservanza della legge: da parte di tutti ed in egual misura."   Alla
 stregua  dei  suesposti  rilievi,  quindi,  non  sembra  che  possano
 residuare ragionevoli dubbi in ordine alla  collocazione  sistematica
 della  giurisdizione  cautelare  nell'ambito  della  giurisdizione di
 merito, ovvio essendo che i cennati caratteri  della  ponderazione  o
 valutazione discrezionale degli interessi legittimi e degli interessi
 pubblici  coinvolti  e  sottesi nella controversia cautelare, e della
 connaturale eseguibilita' coattiva in forma specifica delle ordinanze
 cautelari, esulano concettualmente dalla  giurisdizione  generale  di
 legittimita'.    Non  e'  certo  questa  la sede per una approfondita
 disamina della natura e del contenuto della giurisdizione  di  merito
 che,  com'e'  noto, e' aggiuntiva rispetto a quella di legittimita' e
 costituisce  una  deroga  al  "limite  esterno"  della  giurisdizione
 amministrativa  nella  misura  in  cui,  per determinate categorie di
 controversie, il sindacato  del  giudice  amministrativo  si  estende
 oltre  che  ai  profili  di  legittimita' anche ai profili di merito.
 Tuttavia, ai fini  limitati  della  risoluzione  della  questione  in
 esame,   e   prescindendo   quindi   da   piu'  complesse  ed  estese
 considerazioni che superano l'ambito della presente indagine,  sembra
 sufficiente  rilevare  che,  secondo  l'opinione  piu'  diffusa sia a
 livello dottrinario che giurisprudenziale, il  merito  amministrativo
 che  puo'  formare oggetto di sindacato giurisdizionale nelle materie
 previste dalla legge deve essenzialmente intendersi, con  riferimento
 almeno  a  molte  di  tali  materie, come un giudizio di valore sulla
 opportunita', la convenienza, l'equita'  dell'apprezzamento  compiuto
 dalla  p.a.;  profili,  questi,  che in via normale sono sottratti al
 sindacato del giudice amministrativo (cfr., fra altre: Cass.  SS.UU.,
 5  luglio  1983,  n.  4501;  T.A.R.  Puglia, 7 dicembre 1977, n. 796,
 T.A.R.  Sicilia - Catania, II, 6 luglio 1992, n. 656, e  21  dicembre
 1992, n. 1084), perche' assistiti da quella che e' stata definita una
 "riserva  di  amministrazione"  nei confronti del giudice.   Siffatta
 valutazione della realta' fattuale, in quanto effettuata alla stregua
 di  precetti  non  giuridici  (anche  se  in  realta',  com'e'  stato
 esattamente  rilevato  da  una  corrente  dottrinaria,  i  profili di
 merito,  ove  astrattamente  configurabili,  coesistono  con  profili
 diversi  in  ordine  ai  quali  e' necessario procedere a valutazioni
 tecniche e  ad  accertamenti  di  fatto),  presenta  connotazioni  di
 autonomia  -  rispetto  all'accertamento  di  tale realta' cosi' come
 operata dalla p.a. - nel senso che e' necessariamente svincolata  dal
 limite  costituito  dagli elementi e presupposti di fatto contemplati
 dal provvedimento impugnato, essendo  tale  potere  di  rivalutazione
 della   realta'  fattuale,  ed  il  giudizio  di  valore  in  cui  si
 estrinseca, indispensabili, come mezzo  al  fine,  all'esercizio  del
 potere   decisorio   di  riforma  o  di  sostituzione  (dello  stesso
 provvedimento) previsto espressamente, come  gia'  si  e'  accennato,
 dall'art.  26,  secondo  comma,  legge  6  dicembre 1971, n. 1034, e,
 implicitamente, dall'art. 45, primo comma,  ultimo  inciso,  R.D.  26
 giugno 1924, n. 1054, che indubbiamente presuppongono l'attribuzione,
 sia  pure  implicita,  di  siffatto  potere di cognizione autonoma al
 giudice amministrativo. D'altra parte, la riforma dell'atto o la  sua
 sostituzione  con  un  altro da parte del giudice, che si sostituisce
 all'autorita' amministrativa chiamata in giudizio, trae la sua ragion
 d'essere dalla rivalutazione e dal diverso giudizio  che  il  giudice
 esprime  sull'operato  dell'Amministrazione. I due poteri - quello di
 rivalutazione del fatto e quello di riforma  o  di  sostituzione  del
 provvedimento    -   presentano,   quindi,   aspetti   peculiari   di
 complementarita'.
  C) Ma, anche a prescindere dai cennati rilievi processualistici, che
 l'esecuzione  delle  ordinanze   cautelari   emanate   nel   processo
 amministrativo   non   possa   che  effettuarsi  in  forma  specifica
 costituisce il logico e necessario  corollario  del  noto  principio,
 costantemente  affermato dalla Corte di Cassazione, ed essenzialmente
 desunto da una  lettura  eccessivamente  restrittiva  dell'art.  2043
 C.C.,  della irrisarcibilita' della lesione degli interessi legittimi
 (cfr., fra le piu' recenti riaffermazioni di  tale  principio,  Cass.
 S.U.,  26  aprile  1994, n.   3963, 5 marzo 1993, n. 2667, e 8 agosto
 1991, n. 8636), con le sole eccezioni della materia degli appalti  di
 lavori  pubblici  e  delle  pubbliche  forniture  (art.  13  legge n.
 142/1992, e art. 32, terzo  comma,  della  legge  quadro  sui  lavori
 pubblici   n.   109/1994)   e   delle   ipotesi,   di   mera  origine
 giurisprudenziale,  della  lesione  derivante  da  provvedimenti   di
 annullamento   o   sospensione   di   concessioni   edilizie   o   di
 autorizzazioni commerciali,  successivamente  annullati  dal  giudice
 amministrativo  (si veda, fra le piu' recenti pronunzie in tal senso,
 Cass.,  18  novembre  1992,  n.  12316).     Non   essendo,   quindi,
 configurabile  ed ammissibile nella generalita' dei casi (almeno allo
 stato attuale  dell'evoluzione  legislativa  e  giurisprudenziale  al
 riguardo)  una  obbligazione  della  p.a.  di risarcire ai privati il
 danno ad essi provocato dalla lesione dei  loro  interessi  legittimi
 determinato    dall'emanazione   ed   esecuzione   di   provvedimenti
 illegittimi o dal  comportamento  omissivo  (obbligazione  che,  come
 tutte  le  obbligazioni  pecuniarie,  e'  coercibile con l'esecuzione
 forzata in forma generica prevista dagli artt.  2910  e  sg.  C.C.  e
 dagli  artt. 483 a 604 C.P.C.), non e' conseguentemente immaginabile,
 anche sotto tale profilo, una  esecuzione  in  forma  generica  delle
 ordinanze   cautelari   del  giudice  amministrativo  in  materia  di
 interessi legittimi, trattandosi, appunto, della forma di  esecuzione
 forzata  prevista  dall'ordinamento  per  la  tutela  dei  diritti di
 credito, e che presuppone l'inadempimento di obbligazioni pecuniarie.
   10.3. - Ne' potrebbe ritenersi che l'affermata riconducibilita' (in
 via  analogica  e  di  interpretazione  sistematica)   del   giudizio
 cautelare  nella giurisdizione di merito costituisca una vulnerazione
 del principio costituzionale della divisione dei poteri nella  misura
 in  cui  consentirebbe al giudice amministrativo di invadere la sfera
 di attribuzioni  riservata  dalla  legge  all''Amministrazione.    Ed
 invero,  per  escludere in radice la configurabilita' di un contrasto
 della tesi qui' sostenuta con il predetto  principio  costituzionale,
 e'  sufficiente  formulare  alcuni brevi rilievi, oltre a quanto gia'
 precedentemente osservato circa la natura  della  giurisdizione  come
 sostituzione  del  giudice  alle  parti  (punto  9.b)  ed  in  ordine
 all'esecuzione coattiva in forma specifica delle ordinanze  cautelari
 (come  pure  affermato  dalla  Corte Costituzionale con le richiamate
 sentenze nn.  419 e 435 del 1995).  Preliminarmente, deve  osservarsi
 che,  come  esattamente  rilevato  in  dottrina,  il  silenzio  della
 Costituzione sulla giurisdizione di merito non  puo'  in  alcun  modo
 interpretarsi  come  divieto,  mancando ogni elemento positivo in tal
 senso, e non potendosi  far  leva  sulla  limitazione  dei  controlli
 amministrativi  di  merito  sugli enti locali prevista dall'art. 130,
 secondo  comma,  Cost.,   posto   che   tali   controlli   comprimono
 effettivamente  le  autonomie locali riconosciute dall'art.  5 Cost.,
 laddove l'attivita' sostitutiva del giudice amministrativo in sede di
 giurisdizione di merito (ed in particolare in  sede  di  giudizio  di
 ottemperanza  ed in sede cautelare) si esplica nei confronti di tutte
 le pubbliche amministrazioni in quanto parti processuali, e trova  il
 suo  fondamento,  la  sua giustificazione ed il suo fine nei principi
 stabiliti dai menzionati artt. 24, secondo  comma,  e  113,  primo  e
 secondo    comma,  Cost.    Occorre poi rilevare che "il principio di
 legalita' dell'azione  amministrativa  (artt.  97,  98  e  28  Cost.)
 unitamente  al principio di effettivita' della tutela giurisdizionale
 (artt.  24,  101,  103  e  113  Cost.),  se  da  un  lato   affermano
 l'indipendenza     dell'amministrazione,     dall'altro    comportano
 esplicitamente  l'assoggettamento  dell'amministrazione  medesima   a
 tutti  i vincoli posti dagli organi legittimati a creare diritto, fra
 i  quali,  evidentemente,  gli  organi  giurisdizionali"  e  che  "la
 Costituzione  accoglie  il  principio  in  base  al  quale  il potere
 dell'amministrazione  merita  tutela  solo  sul   presupposto   della
 legittimita'  del  suo esercizio, demandando agli organi di giustizia
 il potere di sindacato - pieno, ai sensi del secondo comma  dell'art.
 113  della Costituzione - sull'esistenza di tale presupposto" (cosi',
 testualmente, Corte Cost.,  nn.  419  e  435/1995,  citt.)    Non  e'
 assolutamente  concepibile ed ammissibile, invero, che nello Stato di
 diritto possa  sussistere  una  sfera  di  competenze  esclusivamente
 riservata  all'Amministrazione  e  sottratta, come tale, al controllo
 giurisdizionale, e cio' non soltanto per il rispetto di tale precetto
 costituzionale, che vieta l'esclusione o la limitazione della  tutela
 giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
 categorie  di atti, ma perche' anche quando il giudice amministrativo
 esercita giurisdizione di merito agisce pur sempre  come  giudice,  e
 cioe'  in  posizione di terzieta' ed a fini di giustizia, dovendo pur
 sempre accertare se il provvedimento  impugnato  corrisponda  o  vada
 oltre a quanto richiede il soddisfacimento dell'interesse pubblico, e
 se,  conseguentemente,  il  sacrificio della posizione del ricorrente
 sia o no giustificato.    Deve  inoltre  osservarsi  che  per  quanto
 concerne  le  ordinanze "propulsi  ve" di riesame della situazione in
 base ai motivi di ricorso ritenuti fondati (c.d.  "remand":  rinvio),
 che  costituiscono  il  nucleo  preponderante delle forme atipiche di
 tutela   cautelare,   il    potere    discrezionale    dell'autorita'
 amministrativa non viene ad essere soppresso ma soltanto limitato, in
 quanto viene fatta espressamente salva per definizione - com'e' fatto
 palese  dalla  stessa  qualificazione di "riesame" o "rinvio" di tali
 ordinanze - l'alternativa dell'emanazione da parte della p.a.  di  un
 nuovo  provvedimento  negativo  sulla base, pero', di altre legittime
 ragioni ostative (non evidenziate col primo diniego) alla  emanazione
 di  un provvedimento ampliativo, e cioe', com'e' ovvio, sulla base di
 ragioni e presupposti del tutto  diversi  da  quelli  precedentemente
 individuati  ed  esplicitati dall'Amministrazione con tale diniego (e
 ritenuti ad un primo esame illegittimi con l'ordinanza  cautelare  di
 riesame).
   11.  - Il Collegio, poi, deve fermamente dissentire dalla ulteriore
 opinione del C.G.A., esposta al punto c) della  menzionata  ordinanza
 n.  358/1994,  secondo  cui  deve essere "rispettato il principio del
 doppio grado di giurisdizione, nel senso che, salvo casi  eccezionali
 in  cui  il ritardo nel provvedere comprometterebbe irreversibilmente
 l'interesse del ricorrente  ...,  l'obbligo  dell'amministrazione  di
 provvedere,  al  fine  di  un'adeguata  tutela  anche  dell'interesse
 pubblico, operi soltanto nell'ipotesi in cui la  decisione  cautelare
 di  primo  grado  non sia stata appellata". In altri termini, dunque,
 l'operativita'   dell'obbligo   dell'Amministrazione   di    eseguire
 l'ordinanza  "propulsiva"  di  sospensione  e  quindi  di  provvedere
 nuovamente ed interinalmente, nonche' la stessa ammissibilita'  della
 eventuale  ulteriore  fase  cautelare di esecuzione coattiva in primo
 grado, pur  riconosciute  nei  limiti  ristrettissimi  segnati  dalle
 condizioni   individuate   nella   stessa  ordinanza  (e  gia'  sopra
 criticati) resterebbero ulteriormente subordinate alla condicio juris
 risolutiva  della  proposizione  dell'appello   avverso   l'ordinanza
 cautelare  di  primo grado.   Per confutare un simile assunto occorre
 appena  ricordare  che,  come   pure   incisivamente   affermato   da
 un'autorevole dottrina, se perfino la pronunzia cognitoria del T.A.R.
 e'  dichiarata esecutiva, cioe' immediatamente efficace, dall'art. 33
 della legge n. 1034/1971,  senza  che  la  proposizione  dell'appello
 possa  incidere  su  tale efficacia (a meno che il Consiglio di Stato
 non sospenda con ordinanza l'esecutivita' della sentenza), tanto piu'
 cio' dovra' ritenersi per  le  misure  cautelari  il  cui  fondamento
 stesso risiede nel modificare subito il regime giuridico delle parti,
 tenuto  conto,  oltre  tutto,  che  alla p.a. non puo' consentirsi la
 scelta   tra   l'ottemperanza   immediata   e   l'attesa   dell'esito
 dell'appello  gia'  proposto  o  da  proporre,  in  quanto una simile
 facolta' equivarrebbe ad una sorta di denegata giustizia, e cioe'  ad
 affermare  che  per  una  larga  parte  degli interessi pretensivi la
 cautela e' tanto attenuata da risultare, quando  contrastata  da  una
 difesa accanita dell'Amministrazione, in parte inesistente, e cio' in
 violazione  dell'art.  113, secondo   comma, della Costituzione.  Del
 resto, il cennato principio dell'esecutivita' immediata, nonostant  e
 appello, delle ordinanze cautelari dei  Tribunali  amministrativi  e'
 perfettamente  simmetrico  e coerente con l'analogo principio vigente
 nel processo civile in materia di  provvedimenti  d'urgenza  ex  art.
 700  C.P.C.,  come  risulta  dal quinto comma, prima parte, dell'art.
 669-terdecies C.P.C. (aggiunto dall'art. 74, legge 26 novembre  1990,
 n.  353),  in base al quale "il reclamo non sospende l'esecuzione dei
 provvedimenti".   Ma non si puo'  sottacere,  poi,  il  pericolo  che
 siffatta   enunciazione   di   principio   si  riveli  oggettivamente
 fuorviante   nella   misura   in   cui   venga   interpretata   dalle
 Amministrazioni  tenute ad eseguire le ordinanze cautelari anche come
 implicita  affermazione  sostanziale  della  liceita'  della  mancata
 esecuzione dell'ordinanza cautelare di primo grado, e quindi come una
 sorta  di  preventivo  e  generale  giudizio  di  esclusione  di ogni
 illiceita' o antigiuridicita' penale di tale comportamento  omissivo,
 che,  invece  ed  al  di  la'  di  ogni  dubbio,  integra gli estremi
 materiali del reato  di  cui  all'art.  328  C.P.  (rifiuto  di  atti
 d'ufficio   od   omissione),   come  reiteratamente  affermato  dalla
 giurisprudenza penale. Una simile interpretazione, che  purtroppo  ha
 avuto   e   continua   ad   avere   larga   diffusione   nelle  varie
 Amministrazioni  per  il  rapporto   di   stretta   conseguenzialita'
 sillogistica  in cui si pone con l'enunciazione di principio che l'ha
 ingenerata (o rafforzata), conduce fatalmente ad un duplice risultato
 tanto  perverso  quanto  destabilizzante  per  i principi generali in
 materia  di  esecutivita'  delle  pronunzie  dei  giudici,  di   buon
 andamento  e  imparzialita'  dell'amministrazione,  e  di  legalita':
 quello di "disarmare" il giudice amministrativo di  primo  grado,  in
 quanto,  per  la  convinzione  (erronea)  della insussistenza di ogni
 reato e per la  conseguente  mancanza  di  ogni  metus  poenarum  nei
 titolari di pubbliche funzioni amministrative, le ordinanze cautelari
 del T.A.R. vengono svuotate di ogni valore ed efficacia, in contrasto
 con  i  piu'  volte  richiamati  precetti  costituzionali  e  con  il
 menzionato art. 33 legge  n.  1034/1971;  e  quello  di  vulnerare  e
 calpestare  non  soltanto  il  principio  del  primato della funzione
 giurisdizionale nel momento interpretativo ed applicativo delle norme
 dell'ordinamento ma lo stesso  fondamento  dello  Stato  di  diritto,
 ledendo  conseguentemente,  in modo intollerabile, anche il prestigio
 di tutta la magistratura  amministrativa,  sia  di  primo  grado  che
 d'appello.
   12.  - Non appare, infine, plausibile l'argomentazione che, al fine
 di escludere che  (nella  fattispecie  dedotta  allora  in  giudizio)
 ricorresse  la  "condizione"  dell'assenza  di  irreversibilita'  dei
 provvedimenti che l'Amministrazione dovrebbe emanare in esecuzione di
 ordinanze cautelari  che  dispongono  >il  riesame  della  situazione
 controversa,  viene  addotta  nella ripetuta ordinanza n. 358/1994 (a
 pag. 5) dal C.G.A., secondo cui il provvedimento positivo  interinale
 (nella   specie,   la   concessione   a   titolo  provvisorio  di  un
 finanziamento pubblico) "da una parte provocherebbe  una  immutazione
 tendenzialmente irreversibile della situazione controversa, attesa la
 problematicita'   di   un   eventuale   recupero   di   finanziamenti
 indebitamente concessi, e dall'altra  non  inciderebbe  su  eventuali
 legittime  aspettative  dell'aspirante  ai  finanziamenti  che  -  al
 limite,  in  sede  di  esecuzione  di  giudicato  -  potrebbe  sempre
 conseguire  quanto  dovutogli".    Ed  invero,  a  prescindere  dalle
 considerazioni di carattere generale gia' svolte al precedente  punto
 8  per  confutare  la  tesi  secondo cui le ordinanze "propulsive" ed
 "ordinatorie"   potrebbero   determinare   effetti    tendenzialmente
 irreversibili  nella  situazione  controversa,  occorre contestare in
 particolare la fondatezza di tale argomentazione  contrapponendovi  i
 rilievi che seguono:
     1)  lo stesso problema di un "eventuale recupero di finanziamenti
 indebitamente concessi" si porrebbe egualmente ove  il  provvedimento
 di   concessione   venisse   emanato,   anziche'   in  esecuzione  di
 un'ordinanza cautelare "propulsiva", in esecuzione della sentenza  di
 primo grado non ancora passata in giudicato, a meno che non si voglia
 arrivare  ad  affermare  che  vanno  eseguite soltanto le sentenze di
 accoglimento passate in giudicato e che l'esecutivita' delle sentenze
 dei  Tribunali  amministrativi  prescritta  dall'art.  33  legge   n.
 1034/1971 costituisca una vuota enunciazione in quanto non potrebbero
 e    non    dovrebbero,    alla    stregua   di   tale   orientamento
 giurisprudenziale,       essere        eseguite        spontaneamente
 dall'Amministrazione   essendo  possibile  il  loro  annullamento  in
 appello;
     2) il paventato rischio per  l'Amministrazione  del  recupero  di
 finanziamenti  indebitamente  concessi  non  e' diverso o maggiore da
 quello connesso alla  ripetizione  di  qualsiasi  contributo  erogato
 spontaneamente  dalla  p.a.  in  assenza  di  ogni controversia e che
 risulti successivamente non dovuto;
     3)  non  viene a determinarsi alcuna "immutazione tendenzialmente
 irreversibile  della  situazione  controversa",  perche'   l'asserita
 "problematicita'"  per  la  p.a.  dell'eventuale  recupero  di cui si
 discute puo' essere esclusa in radice,  se  del  caso,  condizionando
 l'effettiva  riscossione  dei contributi e finanziamenti erogati alla
 concessione da parte dei beneficiari di idonee garanzie (fideiussioni
 bancarie, ecc.);
     4) affermare, poi, che l'aspirante ai finanziamenti,  "al  limite
 in sede di esecuzione di giudicato, potrebbe sempre conseguire quanto
 dovutogli",  eguivale  ancora  una  volta (a prescindere dalla rapida
 esauribilita' dei fondi stanziati dalle  varie  leggi)  ad  affermare
 sostanzialmente  che  soltanto  dopo  che sia passata in giudicato la
 sentenza di accoglimento,  o  addirittura  in  sede  di  giudizio  di
 ottemperanza  ove l'Amministrazione non esegua spontaneamente neanche
 la  sentenza  passata  in   giudicato,   il   privato   puo'   essere
 effettivamente tutelato ed ottenere giustizia; cosi' disconoscendo di
 fatto,   in   contrasto   con   i   piu'  volte  richiamati  principi
 costituzionali e soprattutto  con  quello  della  inviolabilita'  del
 diritto  di  difesa  in ogni stato e grado del procedimento (art. 24,
 secondo  comma,  Cost.),  la  configurabilita'  del  danno  grave   e
 irreparabile anche a causa della sola incidenza del fattore tempo sul
 processo,  ed in ultima analisi la stessa tutela cautelare in materia
 di  interessi  pretensivi  concernenti  contributi  e   finanziamenti
 pubblici;  ed  esponendo i soggetti interessati che hanno i requisiti
 previsti dalla legge per la loro concessione (e che su di essa  hanno
 fatto  affidamento)  anche  al  rischio di gravi dissesti finanziari,
 senza  alcun  sostanziale  vantaggio  per  gli   interessi   pubblici
 riconosciuti  e  tutelati dalla legislazione in materia di benefici e
 provvidenze per i vari settori economici ed imprenditoriali, ed  anzi
 con   contestuale   pregiudizio   degli   stessi  interessi  pubblici
 considerati nella loro  proiezione  o  rifrazione  individuale  nella
 sfera    giuridica   dei   singoli   soggetti   che   compongono   la
 "collettivita'" di volta in  volta  contemplata  dalle  normative  di
 settore.
   13.  -  Per  le  suesposte  considerazioni,  a  norma dell'art. 23,
 secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87,  va  disposta  l'immediata
 trasmissione  degli atti alla Corte Costituzionale per la risoluzione
 della questione incidentale di  costituzionalita'  di  cui  trattasi,
 disponendosi  conseguentemente  la sospensione del giudizio cautelare
 instaurato col ricorso in epigrafe.