IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 5569/95 proposto da Ferraloro Marco, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Cacciola ed elettivamente domiciliato in Catania, viale XX Settembre n. 19, presso lo studio dell'avv. P. Paterniti La Via; contro la provincia regionale di Messina, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Marullo, domiciliata per legge presso questa segreteria; l'assessore provinciale sviluppo economico pro-tempore di Messina, non costituitosi in giudizio; per l'annullamento del provvedimento di rigetto della domanda di concessione di contributo in conto capitale ad impresa artigiana, comunicato dall'assessore prov.le allo sviluppo economico con lettera raccomandata a.r. del 19 giugno 1995 pervenuta il 22 giugno 1995. Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la domanda di sospensione dell'efficacia del provvedimento negativo impugnato col predetto ricorso; Visto l'atto di costituzione in giudizio della provincia regionale di Messina; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla Camera di Consiglio del 10 novembre 1995 il relatore presidente dott. Vincenzo Zingales, e uditi l'avv. F. Cacciola per il ricorrente, e il dott. proc. M. Scurria, su delega dell'avv. F. Marullo, per la Provincia regionale di Messina; Visto l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F a t t o Col ricorso in esame, notificato il 2 ottobre 1995 e depositato il 27 ottobre 1995, il sig. Ferraloro Marco, titolare dell'omonima impresa artigiana di lavorazione marmi, con sede in Capo d'Orlando, via Cordovena ha impugnato il provvedimento n. 35213 del 19 giugno 1995 col quale l'assessore allo sviluppo economico della provincia regionale di Messina ha rigettato la domanda di concessione di contributo in conto capitale da egli presentata, in data 29 marzo 1994, a norma dell'art. 43 della legge regionale 18 marzo 1986, n. 3, per l'acquisto di attrezzature e macchinari. Dopo aver premesso che tale provvedimento negativo e' motivato esclusivamente con riferimento alla circostanza che "le fatture inerenti l'investimento effettuato risultano pagate a saldo dopo la presentazione dell'istanza", che per l'investimento in questione ha effettuato una spesa complessiva di L. 91.352.500, e che il contributo in conto capitale previsto dal predetto art. 43 legge regionale n. 3/1986 e' determinato nella misura del 30% della spesa, il ricorrente deduce, a sostegno dell'impugnativa, il seguente unico ed articolato mezzo di gravame: Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 4 della legge regionale 6 giugno l975, n. 41, e dell'art. 43 della legge regionale 18 febbraio 1986, n. 3. Eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti e per contraddizione con una precedente manifestazione di volonta'. Sostiene il ricorrente che l'asserita, ma non specificata violazione di legge posta a base dell'impugnato provvedimento negativo non sussiste. Infatti, ne' la legge regionale 6 giugno 1975, n. 41, ne' la legge regionale 18 febbraio 1986, n. 3, prevederebbero che la richiesta di contributo possa essere avanzata solo dopo che sia stato totalmente saldato il costo dell'investimento per cui si richiede la concessione del contributo. La normativa che disciplina la concessione del contributo in conto capitale prevederebbe, al contrario, un procedimento che inizia con la domanda di contributo, prosegue con l'istruttoria, le cui funzioni sono demandate alle commissioni provinciali competenti, e si conclude con l'emissione del provvedimento da parte degli organi provinciali. Il ricorrente prosegue evidenziando che in materia e' stata emanata da parte dell'Assessorato regionale alla cooperazione - commercio - artigianato la circolare 12 aprile 1986, n. 3/1986, che puntualizza i criteri e le modalita' per la concessione ed erogazione dei contributi in conto capitale, e che dalla lettura e dalla applicazione di tale circolare appare evidente l'illegittimita' della motivazione del provvedimento di diniego. Al riguardo viene rilevato che nella parte intitolata "Domanda e documentazione", dopo la precisazione che "il contributo regionale viene concesso a consuntivo, dopo l'istruttoria della competente commissione provinciale", la circolare prevede che per la "concessione" del contributo dovra' essere presentata una certa documentazione puntualmente elencata. Dal sistema normativo delineato, quindi, emergerebbe con chiarezza la suddivisione del procedimento in due fasi, la prima comprendente l'istanza e l'istruttoria, la seconda comprendente la concessione e la liquidazione del contributo. La distinzione nelle due fasi, precisa ancora il ricorrente, e' tenuta ben presente nella circolare sopra richiamata laddove si prevede espressamente che la documentazione elencata dalla stessa circolare "deve essere in ogni caso completa all'atto di erogazione del contributo". Nella specie, la documentazione presentata con l'istanza e' stata integrata, dopo la richiesta della provincia (che quindi per altro verso mostra di ben conoscere il procedimento), anche con la produzione delle lettere liberatorie da parte delle due ditte fornitrici delle attrezzature che nel frattempo avevano ricevuto il saldo del corrispettivo dei beni acquistati (dalla data di acquisto alla data del saldo sono trascorsi appena quattro mesi). Una volta dimostrato, con la produzione delle lettere liberatorie, l'avvenuto integrale pagamento dell'investimento effettuato nel termine di sei mesi dall'acquisto, e' assurdo - afferma il ricorrente - che il contributo possa essere denegato sol perche' al momento della proposizione dell'istanza il saldo non era stato ancora integralmente pagato. In caso contrario, agli artigiani, che la legge regionale intende agevolare, verrebbe preclusa o fortemente ridimensionata la possibilita' di ottenere un pagamento dilazionato dai propri fornitori, e quindi, in buona sostanza, di godere sotto altro aspetto, di una agevolazione finanziaria. Ne' si potrebbe obiettare - si afferma ancora nell'atto introduttivo del giudizio - che la dimostrazione dell'integrale pagamento dell'investimento debba essere contestuale alla domanda al fine di evitare la concessione di contributi a chi poi non paghi i propri fornitori, dato che, come gia' precisato, tale dimostrazione deve essere in ogni caso data prima della concessione del contributo e della sua effettiva erogazione. Secondo il ricorrente, infine, sarebbe palese la contraddizione tra la motivazione del provvedimento impugnato e la precedente manifestazione di volonta' esplicitata dalla p.a. attraverso la comunicazione inviata al ricorrente con lettera racc. a.r. del 24 settembre 1994, con cui lo si invitava, nel corso dell'istruttoria della pratica, a produrre le fatture regolarmente quietanzate o le lettere liberatorie rilasciate dalle ditte fornitrici. Con lo stesso gravame il ricorrente ha chiesto la sospensione del provvedimento negativo impugnato, affermando di non potere attendere la decisione di merito per ottenere la concessione del contributo in questione, sul quale aveva fatto affidamento nel momento in cui ha deciso di compiere l'investimento, e che pertanto e' indispensabile la adozione di una ordinanza cautelare "propulsiva" da cui derivi per l'Amministrazione provinciale, prima della decisione del merito, l'obbligo di riesaminare la predetta domanda di contributo basandosi su tutta la documentazione prodotta nel corso dell'istruttoria della pratica. Alla Camera di consiglio del 10 novembre 1995, fissata per la trattazione della suddetta domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato proposta dal ricorrente in seno al ricorso, l'intimata provincia regionale di Messina si e' costituita in giudizio, depositando soltanto copia del ricorso notificatole, con in calce la procura speciale alla lite. Con ordinanza cautelare n. 2831/1995, deliberata nella predetta Camera di consiglio del 10 novembre 1995, la terza sezione di questo tribunale (ritenendo fondato, ad un primo esame, il ricorso, e ritenendo altresi' sussistente il requisito del danno grave e irreparabile prescritto dall'art. 21, ultimo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034), ha accolto temporaneamente la domanda di sospensione dell'efficacia del provvedimento negativo impugnato, ordinando alla provincia regionale di Messina di riesaminare la situazione controversa regolandola nuovamente a titolo provvisorio, vale a dire concedendo al ricorrente il contributo in conto capitale di cui trattasi, od anche, ove ne ricorrano i presupposti, negando nuovamente il richiesto provvedimento ampliativo qualora sussistano altre legittime ragioni ostative non evidenziate con l'impugnato provvedimento negativo, e cio' entro settanta giorni dalla notificazione dell'ordinanza di sospensione presso la sede di ufficio della predetta Amministrazione; rinviando l'ulteriore e definitiva trattazione della domanda cautelare alla prima Camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale a seguito della decisione della questione di costituzionalita' - che ha deciso di sollevare con la presente separata ordinanza, deliberata in pari data (10 novembre 1995) - dell'art. 21, ultimo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede espressamente il potere del giudice amministrativo di sospendere i provvedimenti negativi dell'Amministrazione. D i r i t t o 1. - Come gia' esposto in epigrafe e nelle premesse di fatto che precedono, l'impugnativa proposta e' rivolta avverso il provvedimento n. 35213 del 19 giugno 1995 col quale l'Assessore allo sviluppo economico della provincia regionale di Messina ha rigettato la domanda di concessione di contributo in conto capitale da egli presentata, in data 29 marzo 1994, a norma dell'art. 43 della legge regionale 18 febbraio 1986, n. 3, per l'acquisto di attrezzature e macchinari. 2. - La terza sezione di questo tribunale, come si e' pure esposto in narrativa, con ordinanza cautelare n. 2831/1995 deliberata nella Camera di consiglio del 10 novembre1995, ritenendo sussistenti i presupposti del fumus boni juris e del danno grave e irreparabile richiesti dall'art. 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, per l'erogazione della tutela cautelare nel processo amministrativo, ha accolto temporaneamente la domanda di sospensione dell'efficacia del provvedimento negativo impugnato, ordinando alla provincia regionale di Messina di riesaminare la situazione controversa regolandola nuovamente a titolo provvisorio, vale a dire concedendo al ricorrente il contributo in conto capitale di cui trattasi, od anche, ove ne ricorrano i presupposti, negando nuovamente il richiesto provvedimento ampliativo qualora sussistano altre legittime ragioni ostative non evidenziate con l'impugnato provvedimento negativo, e cio' entro settanta giorni dalla notificazione dell'ordinanza di sospensione presso la sede di ufficio della predetta Amministrazione; rinviando l'ulteriore e definitiva trattazione della domanda cautelare alla prima Camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale a seguito della decisione della questione di costituzionalita' - che ha deciso di sollevare con la presente separata ordinanza, deliberata in pari data (10 novembre 1995) - dell'art. 21, ultimo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede espressamente il potere del giudice amministrativo di sospendere i provvedimenti negativi dell'Amministrazione. 3. - Cio' premesso, deve innanzitutto osservarsi che il Collegio ritiene che la predetta questione di costituzionalita', sollevata d'ufficio, sia rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e cio' nei limiti e per le considerazioni che seguono. 4.1. - Quanto alla rilevanza di tale questione, occorre premettere che, alla stregua dell'orientamento giurisprudenziale segnato dalla stessa Corte costituzionale con le sentenze 27 dicembre 1974, n. 284, 17 luglio 1975, n. 227, e 1 febbraio 1982, n. 8, in conformita' ai principi e valori costituzionali fissati dagli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 103, primo comma, e 113 della Costituzione, e seguito, dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 6 del 30 aprile 1982 e con le ordinanze n. 17 dell'8 ottobre 1982 e n. 14 del 1 giugno 1983, e come sara' meglio precisato in sede di delibazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' in esame, la tutela cautelare deve ammettersi anche in relazione al silenzio-rifiuto ed ai provvedimenti negativi dell'Amministrazione che incidono sugli interessi legittimi alla acquisizione di un bene della vita (c. d. interessi legittimi pretensivi), affinche' l'autorita' amministrativa competente, nel dar doverosa esecuzione all'ordinanza di sospensione del comportamento omissivo o del provvedimento negativo impugnato, disponga con riserva, e quindi sino alla definizione nel merito della controversia, l'emanazione di provvedimenti legittimi finalizzati a tale esecuzione. Il predetto orientamento giurisdizionale e' stato condiviso sin dal 1985 dal T.A.R. Sicilia - Catania che, con numerose ordinanze ha sospeso provvedimenti negativi e comportamenti omissivi dell'Amministrazione agli effetti sopra indicati, e quindi affermando l'obbligo della stessa Amministrazione di procedere (entro termini di volta in volta assegnati in relazione alla maggiore o minore intensita' del periculum in mora) al riesame della situazione controversa ed alla conseguente riemanazione a titolo provvisorio di un nuovo provvedimento, positivo o anche negativo purche' il - in questa seconda ipotesi - emanato in base ad altre legittime ragioni ostative prima non evidenziate od esplicitate, e cioe', nelle ipotesi di provvedimento negativo, sulla base di presupposti di fatto e di diritto del tutto diversi da quelli precedentemente individuati dall'Autorita' amministrativa (nel primo diniego impugnato) con motivazioni gia' ritenute illegittime in sede cautelare dal giudice amministrativo. 4.2. - Ma il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, unico giudice d'appello avverso le sentenze ed ordinanze del T.A.R. Sicilia, con ordinanza n. 358 del 18 maggio 1994 - che si allega - ha annullato l'ordinanza di questa terza sezione n. 503 del 23 febbraio 1994 (che aveva sospeso il provvedimento negativo prot. 19585 del 13 novembre 1993 emanato dall'ispettorato provinciale dell'agricoltura di Enna, ordinando alla predetta Amministrazione di riesaminare la situazione controversa a titolo provvisorio, accogliendo o, se del caso, rigettando nuovamente per altri motivi l'istanza del ricorrente diretta ad ottenere i benefici finanziari di cui alla legge n. 31/1991). Con tale ordinanza - emanata com'e' evidente, in fattispecie analoga a quella in esame (sia per il genus che per la species, in quanto concernente non soltanto, in generale, l'ammissibilita' della tutela cautelare in materia di provvedimenti negativi e guindi di interessi legittimi pretensivi, ma soprattutto, in particolare, un diniego di concessione di finanziamenti pubblici - il C.G.A. reg. sic., pur ammettendo in linea di principio la sospendibilita', dei provvedimenti negativi e dei silenzi-rifiuti, ha affermato in via generale che l'esercizio del potere cautelare del giudice amministrativo in materia resta subordinato a determinate e rigide condizioni; condizioni che, in realta', circondano siffatto potere di limitazioni tali da escludere sostanzialmente dall'area della tutela cautelare una larga fascia di interessi pretensivi, o da rendere, comunque, estremamente difficoltosa, aleatoria, ed evanescente tale tutela. In particolare, dopo avere inizialmente affermato che "il giudice amministrativo in sede cautelare, in relazione a ricorsi proposti avverso provvedimenti negativi, puo' ordinare all'Amministrazione l'adozione di un provvedimento interinale a condizione che: a) abbia deliberato l'illegittimita' del provvedimento impugnato e l'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l'adozione di un nuovo provvedimento da parte dell'amministrazione" (enunciati motivatori, questi, assolutamente ed ovviamente condividibili, alla luce dei principi generali processuali e del menzionato orientamento giurisprudenziale dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato seguito da gran parte della giurisprudenza amministrativa cautelare di primo grado e d'appello), il C.G.A. sviluppa la sequenza argomentativa, a sostegno della tesi restrittiva accolta con la menzionata ordinanza n. 358/1944, proseguendo nell'elencazione delle ulteriori condizioni ritenute necessarie per "ordinare all'amministrazione l'adozione di un provvedimento interinale", che vengono testualmente individuate come segue: b) la situazione sia suscettibile di essere definita da un provvedim ento la cui efficacia sia limitata alla fase cautelare e che non immuti in modo tendenzialmente irreversibile la situazione controversa; c) sia rispettato il principio del doppio grado di giurisdizione, nel senso che, salvo casi eccezionali in cui il ritardo nel provvedere comprometterebbe irreversibilmente l'interesse del ricorrente (come ad esempio avviene quando sia necessario disporre l'ammissione con riserva ad un concorso: cfr. la citata giurisprudenza dell'adunanza plenaria), l'obbligo dell'amministrazione di provvedere, al fine di un'adeguata tutela anche dell'interesse pubblico, operi soltanto nell'ipotesi in cui la decisione cautelare di primo grado non sia appellata; d) la decisione cautelare, emessa sulla base di una semplice delibazione della res litigiosa, non procuri al ricorrente effetti favorevoli maggiori di quelli che potrebbe conseguire da una sentenza di accoglimento o quanto meno non sia integralmente satisfattiva dell'interesse concreto del ricorrente, al fine di non rendere di fatto inutile la successiva fase della decisione nel merito, con conseguente attenuazione della garanzia della tutela giurisdizionale che si realizza appieno solo in questa seconda fase, la cui decisione viene adottata previo un analitico e motivato esame dei vari motivi di gravame. Il C.G.A. conclude, quindi, la motivazione dell'ordinanza in question e affermando: che nella fattispecie in esame non ricorrono le condizioni: sub b), in quanto la situazione controversa non puo' ritenersi suscettibile di essere definita da un provvedimento positivo interinale, tenuto anche conto che esso da una parte provocherebbe una immutazione tendenzialmente irreversibile della situazione controversa, attesa la problematicita' di un eventuale recupero di finanziamenti indebitamente concessi, e dall'altra non inciderebbe su eventuali legittime aspettative dell'aspirante ai finanziamenti, che - al limite, in sede di esecuzione di giudicato - potrebbe sempre conseguire quanto dovutogli; sub c), in quanto l'obbligo di provvedere e' stato imposto senza che sussistessero eccezionali esigenze di urgenza, tali da richiederlo; sub d), in quanto la decisione cautelare procurerebbe al ricorrente effetti favorevoli maggiori di quelli che potrebbe conseguire da una sentenza di accoglimento, che solo a seguito del suo passaggio in giudicato e dell'esperimento positivo del giudizio d'ottemperanza potrebbe dare luogo agli effetti stessi. La suesposta tesi restrittiva e' stata successivamente confermata dal C.G.A. con numerose ordinanze cautelari che, in accoglimento degli appelli proposti dalle amministrazioni soccombenti in primo grado, hanno reiteratamente annullato le ordinanze "propulsive" di sospensione di provvedimenti negativi emesse da questa sezione. Si vedano, fra le tante le seguenti ordinanze del C.G.A. (anch'esse allegate): n. 569 del 20 luglio 1994 (fattispecie in materia di diniego di autorizzazione, da parte del Comandante del porto di Augusta, all'esercizio del trasporto di merci e passeggeri in tale porto); n. 570 del 20 luglio 1994 (fattispecie identica a quella di cui sopra); n. 571 del 20 luglio 1994 (fattispecie identica a quella di cui sopra); n. 607 del 21 luglio 1994 (fattispecie in materia di diniego di autorizzazione ex art. 7 legge n. 1497/1939 per la realizzazione di un progetto edilizio); n. 665 del 14 settembre 1994 (fattispecie analoga a quella di cui sopra); n. 674 del 14 settembre 1994 (fattispecie in materia di mancato conferimento di supplenze scolastiche); n. 675 del 14 settembre 1994 (fattispecie identica a quella di cui sopra); n. 720 del 19 ottobre 1994 (fattispecie in materia di diniego di nulla-osta, ex art. 7 legge n. 1497/1939, alla realizzazione di un fabbricato); n. 775 del 20 ottobre 1994 (fattispecie analoga a quella di cui sopra); n. 178 del 15 marzo 1995 (fattispecie in materia di diniego, da parte del Ministero delle poste e telecomunicazioni, di concessione per radiodiffusione sonora in ambito locale); n. 262 del 17 maggio 1995 (fattispecie analoga alla precedente, in materia di radiodiffusione televisiva privata in ambito locale); n. 284 del 14 giugno 1995 (fattispecie analoga a quella di cui sopra). In particolare, la summenzionata ordinanza n. 178 del 15 marzo 1995, dopo aver richiamato, trascrivendole, le condizioni - gia' individuate con la precedente ordinanza n. 358 del 18 maggio 1994 (la cui motivazione in diritto e' stata sopra integralmente riportata) - ritenute necessarie dal C.G.A. affinche', in sede di giudizio cautelare avverso provvedimenti negativi, "il giudice amministrativo possa ordinare all'amministrazione l'adozione di un provvedimento interinale", cosi' testualmente enuncia le ulteriori motivazioni a sostegno della sua tesi di pressocche' totale chiusura all'evoluzione giurisprudenziale in tema di sospensione di provvedimenti negativi, in contrasto non solo col cennato indirizzo dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ma anche, come si vedra' appresso in sede di delibazione del presupposto della non manifesta infondatezza della presente questione di costituzionalita', della stessa Corte costituzionale: Considerato: che l'ordinanza impugnata e' sostanzialmente fondata su tre ordini di considerazioni: a) che il giudizio cautelare, al pari del giudizio d'ottemperanza, debba ricondursi nell'ambito della giurisdizione di merito; b) che pertanto, nei casi in cui la sospensione del provvedimento impugnato non sia di per se' idonea ad offrire piena tutela all'interesse fatto valere dal ricorrente, come accade nei casi di impugnazione di provvedimenti negativi relativi ad interessi pretensivi o partecipativi, il giudice amministrativo possa adottare tutte le misure di esecuzione in forma specifica da lui ritenute necessarie, indipendentemente dalla considerazione che in tal modo la pronunzia cautelare possa attribuire all'interessato un'utilita' eguale o superiore a quella conseguibile da un'eventuale sentenza di accoglimento o possa determinare una situazione irreversibile; c) che alla pubblica amministrazione non possa consentirsi la scelta tra l'ottemperanza immediata alla statuizione cautelare e l'attesa dell'esito dell'appello gia' proposto o da proporre; che le suddette considerazioni non possono essere condivise in quanto: 1) l'opinamento che l'intera giurisdizione cautelare debba ricondursi nell'ambito della giurisdizione di merito, indipendentemente dalla materia alla quale si riferisce, non ha alcuna base normativa e va pertanto ritenuto non conforme a legge, attesa la tassativita' delle materie in cui il giudice amministrativo ha giurisdizione anche in merito; 2) che, contrariamente a quanto opinato dal TAR, tra giudizio cautelare e giudizio d'ottemperanza non sussiste alcuna significativa analogia funzionale (esistente, al piu', tra giudizio di esecuzione dell'ordinanza cautelare e giudizio d'esecuzione della sentenza). Il giudizio cautelare, infatti, ha per oggetto un'attivita' amministrativa gia' svolta e non collegata a precedenti pronunce giurisdizionali; ed e' preordinato al riconoscimento dell'esistenza o dell'inesistenza di un semplice fumus boni iuris che, potendo successivamente non essere condiviso sia dallo stesso primo giudice in sede di sentenza sia dal giudice d'appello, giustifica solo l'adozione di misure interinali che consentano di pervenire alla decisione definitiva re adhuc integra, con esclusione pertanto di quegli effetti irreversibili che svuoterebbero di contenuto concreto un'eventuale decisione definitiva di segno contrario. Il giudizio d'ottemperanza invece, non a caso l'unico ad essere espressamente inserito dalla legge nella giurisdizione di merito, e' finalizzato ad un'attivita' amministrativa ancora da svolgere in relazione a precedenti pronunce giurisdizionali passate in giudicato; ed e' preordinato ad adeguare l'amministrazione ad una verita' legale ormai certa ed incontrovertibile, tale da giustificare l'adozione di misure sostitutive atte a realizzare in via definitiva la conseguenziale esigenza di conformazione da parte dell'amministrazione stessa; 3) che non puo' condividersi l'avviso che il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione generale di legittimita' (qual e' quella in esame), possa adottare nella fase cautelare misure sostitutive che gli sarebbero precluse nella successiva fase di merito; possa cioe' imporre con ordinanza, e sulla base di un semplice fumus, incisivi obblighi di esecuzione che, se imposti con sentenza e sulla base di un approfondito esame della questione, risulterebbero frutto di un difetto assoluto di giurisdizione; 4) che l'adozione di provvedimenti cautelari ad effetti irreversibili non puo' altresi' ritenersi conforme all'art. 24 della Costituzione, tenuto anche conto che la nota crescente divaricazione temporale tra ordinanza cautelare e sentenza definitiva, e quindi la crescente divaricazione temporale tra l'accertamento del fumus e l'accertamento dell'effettiva fondatezza del ricorso, impongono al giudice un particolare self restraint nell'adottare misure sostitutive in sede cautelare; che pertanto, con riferimento a quanto gia' rilevato da questo Consiglio con la citata ordinanza 18 maggio 1994, n. 358, la tutela cautelare di interessi pretensivi o partecipativi possa tradursi in ordini di fare solo nei limiti in cui l'azione dell'Amministrazione sia vincolata e non discrezionale, e qualora la situazione controversa sia suscettibile di essere definita da un provvedimento positivo interinale e l'effettivita' della tutela dell'interesse azionato non consenta l'indugio connesso all'attesa della sentenza definitiva; che i presupposti da ultimo indicati non ricorrono nella controversi a in esame, pur essendo il ricorso introduttivo assistito dal prescritto fumus, sotto il profilo che nella fattispecie si sarebbe verificata una semplice variazione della struttura soggettiva del concessionario; che pertanto l'appello va accolto limitatamente all'obbligo dell'Amm inistrazione di riesaminare la situazione controversa delineandola con un provvedimento positivo entro un termine predeterminato. 4.3. - Tale essendo il tralaticio e conservatore disegno ricostruttivo che il giudice amministrativo d'appello effettua del sistema della tutela cautelare in materia di provvedimenti negativi (ed in particolare, per quanto qui rileva, di quelli concernenti contributi e finanziamenti pubblici), e quindi di interessi legittimi pretensivi, osserva il Collegio che, se e' vero, ovviamente, che siffatta restrittiva e poco garantistica ricostruzione ermeneutica non puo' costituire un precedente vincolante nei confronti dei giudici di primo grado (dato che, a norma dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione, "i giudici sono soggetti soltanto alla legge", e che l'unico vincolo interpretativo previsto nel nostro ordinamento processuale e' quello imposto dall'art. 384, primo comma, C.P.C. al giudice di rinvio che "deve uniformarsi" al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione allorche' accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto), e' altresi' vero che la costante interpretazione del C.G.A. al riguardo - che ha condotto e continua a condurre all'annullamento sistematico di tutte le ordinanze cautelari "propulsive" od "ordinatorie" di questa sezione che, ancorche' emanate indubitabilmente in presenza dei presupposti del fumus boni juris" e del danno grave e irreparabile richiesti dall'ultimo comma dell'art. 21 della legge n. 1034/1971, contrastino con le cennate "condizioni" restrittive - assume indubbiamente rilievo in relazione all'esigenza insopprimibile di assicurare, sempre nei limiti della liberta' di coscienza del giudice, la certezza del diritto. Ed invero, e' appena il caso di rilevare in proposito che una delle esigenze fondamentali di ogni ordinamento giuridico e' la sua certezza, vale a dire la sicurezza, che tutti i soggetti debbono poter avere, in ordine al trattamento che ad essi sara' riservato qualora divengano, in conseguenza del verificarsi di determinati fatti giuridici previsti dalle norme, destinatari concreti di situazioni giuridiche soggettive attive o passive astrattamente contemplate dalle stesse norme, e quindi titolari di rapporti giuridici; di guisa che puo' affermarsi che la certezza del diritto, o sicurezza giuridica, costituisce un corollario dell'astrattezza e generalita' della norma giuridica. Vero e' che l'incertezza e' spesso causata dal sovrapporsi di norme (primarie e secondarie) contraddittorie, dalla loro oscurita', dalla loro abnorme e disorganica proliferazione, che rende arduo il loro coordinamento e quindi meno evitabili le antinomie. Ma e' altresi' vero che la causa d'incertezza piu' insidiosa, e purtroppo egualmente frequente, e' costituita dalle interpretazioni erronee degli organi giurisdizionali, ed in particolare da quelle che (come nella specie) rappresentano un ritorno a schemi concettuali ed orientamenti superati da tempo dalla consolidata evoluzione giurisprudenziale, rispetto alla quale si pongono come deviazioni ingiustificate e non piu' accettabili dalla coscienza giuridica maturata e acquisita dalla collettivita' in un dato momento storico (ed e' noto che tale coscienza consiste, in estrema sintesi, nel complesso dei precetti - ai quali devono informarsi il legislatore e l'interprete - che conferiscono l'impronta ad un determinato ordinamento giuridico nel suo continuo divenire e progredire plasmato dall'indirizzo storico-politico del tempo). Cio' posto, osserva il collegio che un contrasto giurisprudenziale prolungato nel tempo si rivela quanto mai dannoso sia in relazione all'azione della pubblica amministrazione a tutela degli interessi pubblici che in relazione all'assetto degli interessi legittimi in contestazione. Pertanto il tribunale, prendendo atto di tale costante interpretazione contraria del proprio giudice di appello, che assume come "diritto vivente" del quale deve fare applicazione nel giudizio cautelare, osserva che la questione di costituzionalita' di cui trattasi riveste necessariamente il prescritto carattere di rilevanza al fine della decisione definitiva sulla domanda di sospensione del provvedimento negativo impugnato col ricorso in esame. Come reiteratamente affermato dalla Corte costituzionale, infatti, deve ritenersi rilevante e quindi ammissibile la questione di costituzionalita' di una norma di legge allorche' il giudice rimettente, pur mostrando di non condividere l'interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza, non ne pretende una revisione sul piano ermeneutico (effettivamente non consentita: cfr. le ordinanze della Corte nn. 410 e 44 del 1994), bensi', assumendo proprio quella interpretazione come "diritto vivente", ne chiede una verifica sul piano della costituzionalita', il che innegabilmente invece rientra nel sindacato di legittimita' riservato alla Corte (cfr. in termini, fra le piu' recenti, le sentenze: n. 188 del 23 maggio 1995, punto 3.2 della motivazione; n. 58 del 24 febbraio 1995, punto 2 della motivazione; n. 110 del 6 aprile 1995, punto 2.1 della motivazione; n. 345 del 21 luglio 1995, punto 2 della motivazione; n. 456 del 27 luglio 1989, punto 2 della motivazione). La stessa Corte ha, anzi, significativamente precisato che la question e di costituzionalita' e' validamente posta anche quando il giudice a quo, affermando motivatamente di dubitare dell'orientamento giurisprudenziale prevalente o dominante, ritiene di dovere applicare la disposizione contestata in un diverso o opposto significato normativo, sempreche' l'intepretazione offerta non risulti del tutto implausibile, e cioe' palesemente arbitraria" (cosi' la sentenza n. 58 del 1995, sopra citata, punto 2 della motivazione, che richiama numerosi altri precedenti giurisprudenziali della Corte nello stesso senso). Nella specie, invero, risulta evidente che l'eventuale adesione acritica di questo collegio alla tesi interpretativa propugnata dal C.G.A., quale esclusivo giudice d'appello avverso tutte le pronunzie giurisdizionali del T.A.R. Sicilia, avrebbe determinato il rigetto della domanda di sospensione, con ordinanza "propulsiva", del provvedimento negativo impugnato col ricorso in esame; laddove, se l'ultimo comma dell'art. 21 della legge n. 1034/1971 venisse dichiarato incostituzionale dal giudice delle leggi nella parte in cui non prevede espressamente la sospendibilita' dei provvedimenti negativi dell'Amministrazione con ordinanze cautelari "propulsive", il collegio potra' pervenire all'accoglimento definitivo della predetta domanda cautelare. La risoluzione della questione in esame, quindi, si pone assolutamente ed incontrovertibilmente, a norma dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, quale necessaria pregiudiziale per la definizione della lite cautelare portata alla cognizione del collegio, dato che, come si e' detto, soltanto la declaratoria di illegittimita' costituzionale parziale della disposizione di legge denunziata consentira' al collegio di pronunziarsi definitivamente e positivamente sulla predetta domanda cautelare (temporaneamente accolta, come si e' gia' precedentemente accennato, sino alla prima Camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale a seguito della decisione in ordine alla sollevata questione di costituzionalita') e sulla eventuale domanda di esecuzione dell'ordinanza di sospensione "propulsiva" ove l'Amministrazione non vi ottemperasse spontaneamente. In proposito, poi, e' appena il caso di osservare: 1) che il requisito della rilevanza permane, ovviamente, anche nei casi (come quello in esame) in cui il giudice amministrativo disponga con separata ordinanza - contemporaneamente all'ordinanza di rimessione alla Corte - la sospensione provvisoria e temporanea dei provvedimenti impugnati fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalita', posto che una tale pronunzia, per la sua natura meramente temporanea ed interinale, non determina l'esaurimento del potere cautelare del giudice a quo (cfr., fra altre, Corte costituzionale, 23 luglio 1991, n. 367, punto 2 della motivazione, e 12 ottobre 1990, n. 444, punto 3 della motivazione); 2) e che la sussistenza della predetta rilevanza va valutata allo stato degli atti al momento della emanazione dell'ordinanza di rimessione, restando guindi ininfluenti le eventuali pronunzie adottande o adottate successivamente dal giudice d'appello (cfr., fra altre, la predetta sentenza n. 367/1991, ibidem). Muovendo, quindi, dalla incontrovertibile constatazione di fatto della suesposta costante interpretazione del C.G.A. che si pone in palese e stridente contrasto con i richiamati principi e valori costituzionali in materia (oltre che con le menzionate pronunzie dell'adunanza plenaria e della Corte costituzionale), ed alla luce dei cennati principi, il tribunale non puo' che trarne le logiche ed inevitabili conclusioni affermative in ordine alla sussistenza del primo requisito prescritto dalla legge (la rilevanza della questione) affinche' il giudice a quo possa sollevare questioni di costituzionalita'. 5. - Quanto al requisito della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' di cui si discute, ritiene il Tribunale che, alla stregua della costante interpretazione restrittiva del C.G.A. (sopra diffusamente esposta) da assumere quale "diritto vivente", l'ultimo comma dell'art. 21 della legge n. 1034/1971, che attribuisce al giudice amministrativo il potere cautelare di sospendere l'esecuzione dei provvedimenti impugnati allorche' il ricorrente alleghi danni gravi e irreparabili, si ponga effettivamente in stridente contrasto, sotto molteplici profili, con gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione. 6.1. - Occorre innanzitutto osservare in proposito che gli interessi legittimi alla acquisizione, e non alla mera conservazione, di un bene della vita (c.d. interessi legittimi pretensivi) sono caratterizzati, per quanto qui rileva, dal fatto che l'annullamento giurisdizionale dei provvedimenti negativi e dei comportamenti omissivi illegittimi, lesivi di tali situazioni giuridiche soggettive, non costituisce il loro momento finale di realizzazione. E' vero, infatti, che ad ogni sentenza amministrativa d'annullamento consegue immediatamente - stante la sua esecutivita' anche prima del passaggio in giudicato (art. 33 legge n. 1034/1971) - oltre che l'effetto costitutivo o di eliminazione del provvedimento impugnato, e quello di ripristinazione delle situazioni e degli atti e provvedimenti travolti dal provvedimento annullato in sede giurisdizionale, anche il c.d. effetto conformativo od obbligo di conformarsi (a meno che non si tratti, ovviamente, di sentenze c.d. autoesecutive), consistente, com'e' noto, nell'identificazione, esplicita o implicita, del modo corretto di esercizio del potere, nella fissazione della corretta sistemazione degli interessi coinvolti nella pronunzia, nella determinazione cioe' - con valore vincolante per la successiva azione amministrativa - del contenuto precettivo del dovere dell'Amministrazione nel singolo caso concreto (cfr., fra le tante: C. S., VI, 12 aprile 1986, n. 310; C.G.A., 23 giugno 1984, n. 79; T.A.R. Sicilia - Catania, II, 8 febbraio 1993, n. 92, 18 febbraio 1981, n. 84, e 9 dicembre 1981, n. 625; T.A.R. Campania - Salerno, 19 marzo 1983, n. 135). Ma e' egualmente vero, pero', che l'esecuzione delle sentenze di annullamento di provvedimenti negativi e silenzi-rifiuti assumono una rilevanza od una valenza meramente strumentale in quanto la loro esecuzione richiede la rinnovazione da parte della p.a. del provvedimento negativo annullato o (nel caso di silenzio-rifiuto) l'effusione, per la prima volta, di attivita' amministrativa, finalizzate entrambe (la rinnovazione del provvedimento o la sua prima emanazione) alla realizzazione del c.d. effetto conformativo nascente dalla pronunzia giurisdizionale (combinato disposto dell'art. 26, secondo comma, legge n. 1034/1971, e dell'art. 45, primo comma, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, che prevedono l'emanazione di "ulteriori provvedimenti dell'autorita' amministrativa" a seguito dell'annullamento giurisdizionale, nonche' dell'art. 88 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, il quale prescrive che "l'esecuzione delle decisioni si fa in via amministrativa", e del precedente art. 65, n. 5, che prescrive l'inserimento nella sentenza dell'ordine che la stessa "sia eseguita dall'autorita' amministrativa"); attivita' dalle quali soltanto - o, in difetto, dal giudizio di ottemperanza previsto dall'art. 27, n. 4, R.D. n. 1054/1924 e dall'art. 37 legge n. 1034/1971 - il ricorrente vittorioso potra' conseguire effettivamente il bene della vita oggetto dell'interesse legittimo di cui e' titolare (cfr. in tal senso, fra altre, C. S., V, ordinanza 28 settembre 1987, n. 530-bis, punto 3 della motivazione). Cio' posto, occorre ora rilevare che da oltre un ventennio la stessa Corte Costituzionale (si vedano le gia' menzionate sentenze 27 dicembre 1974, n. 284, 17 luglio 1975, n. 227, e 1 febbraio 1982, n. 8), in conformita' ai principi e valori costituzionali fissati dagli artt. 3,primo comma, 24, secondo comma, 103, primo comma, e 113 Cost., ha posto in luce il carattere essenziale del procedimento cautelare amministrativo e la sua intima compenetrazione con il processo di merito nell'ambito della giustizia amministrativa, dato che in essa si avverte maggiormente l'esigenza di misure cautelari che consentano di anticipare, sia pure a titolo provvisorio, l'effetto tipico della pronunzia finale del giudice amministrativo, permettendo che questa intervenga re adhuc integra, rendendo in concreto possibile la soddisfazione dell'interesse che risulti nel processo meritevole di tutela (cosi', in particolare, la sentenza n. 8/1982, punto 3 della motivazione). 6.2. - A seguito, quindi, della cennata giurisprudenza della Corte che ha reiteratamente affermato il principio secondo cui la tutela cautelare nel giudizio amministrativo e' coperta, senza alcun limite, dalla garanzia costituzionale scaturente dai precetti contenuti nei predetti artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 103, primo comma, e 113 della Carta fondamentale, anche l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, muovendosi sostanzialmente nello stesso ordine di idee, ha recepito tale orientamento garantistico affermando che - come si precisera' piu' ampiamente appresso - la tutela cautelare deve necessariamente ammettersi anche in relazione al silenzio-rifiuto ed ai provvedimenti negativi (in tutto o in parte) che incidono sugli interessi legittimi alla acquisizione di un bene (c. d. interessi pretensivi), affinche' l'Autorita' competente, nel dare doverosa esecuzione all'ordinanza di sospensione del comportamento omissivo o dell'atto negativo impugnato disponga con riserva, e guindi sino alla definizione nel merito della controversia, l'emanazione di provvedimenti legittimi finalizzati a tale esecuzione (cfr. A.P., sentenza 30 aprile 1982, n. 6, e ordinanze n. 17 dell'8 ottobre 1982, n. 14 del 1 giugno 1983, gia' citate al punto 4.1. che precede). Ed a tale incisivo indirizzo ha finito per aderire quasi tutta la giurisprudenza amministrativa di primo grado e parte di quella di appello (cfr. fra le tante ordinanze nello stesso senso, con riferimento al silenzio-rifiuto: T.A.R. Lazio, II, 14 gennaio 1986, n. 50, C.G.A., 21 febbraio 1991, n. 64, e 18 luglio 1991, n. 260; ma soprattutto, con riguardo a provvedimenti negativi di vario genere: T.A.R. Lombardia - Milano, III, 6 dicembre 1988, n. 575, e I, 11 gennaio 1989, n. 45; T.A.R. Campania - Napoli, I, 13 gennaio 1993, n. 9; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, I, 28 ottobre 1993, n. 734; T.A.R. Lazio, I, 22 giugno 1994, n. 1644, e 7 dicembre 1994, n. 2915; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. I: nn. 282, 561 e 619 del 1985, e nn. 567 e 732 del 1986; Sez. II: n. 542 del 1989, nn. 306 e 898 del 1990, n. 128 del 1991, e nn. 82, 136, 137, 138 e 184 del 1992; e Sez. III: nn. 291, 294, 802, 929 e 1260 del 1993, nn. 1748, 1752, 1782, 1790 e 1798 del 1994, e nn. 1368, 2831 e 2847 del 1995; C. S., V, 28 settembre 1987, n. 530-bis, punto 3 della motivazione, gia' sopra citata; C. S., VI, 14 maggio 1993, n. 349; C.S., V, 24 settembre 1993, n. 1312). Con tale consolidato orientamento giurisdizionale si e' in particolare affermato - pur nella varieta' degli enunciati motivatori - che la sospensione dell'efficacia del provvedimento negativo o del comportamento omissivo - provocando (nel primo caso) l'inidoneita' temporanea del diniego esplicito a disciplinare un determinato rapporto giuridico amministrativo, o (nel secondo caso) la necessita' dell'emanazione di un atto che definisca per la prima volta tale rapporto - determina (nel primo caso) la riviviscenza giurisdizionale del dovere dell'Amministrazione di provvedere, regolando ex novo e medio tempore la situazione, oppure (nel secondo caso) la mera dichiarazione o riaffermazione dell'obbligo, preesistente alla pronunzia cautelare, di imprimere per la prima volta un assetto agli interessi pubblici e privati coinvolti in un determinato procedimento; e cio' perche' la negazione di tali doveri concreterebbe una inammissibile esclusione sostanziale dei comportamenti omissivi e dei provvedimenti negativi dell'area della tutela cautelare, in contrasto con il principio in base al quale il potere di sospensione non puo' avere limiti piu' ristretti di quelli del potere di annullamento, in quanto la sua esclusione o la sua limitazione con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi violerebbe sia il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), sia ancora quello della inviolabilita' della difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, secondo comma, Cost.), sia, infine, il principio dettato dall'art. 113, secondo comma, Cost., in base al quale la "tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti" (cfr. Corte Cost. n. 284/1974 e n. 8/1982, citt., e, in particolare, le ordinanze di questa terza Sezione sopra indicate). Tale emanazione, sia pure a titolo provvisorio, e cioe' sino all'esito definitivo del giudizio di merito, di provvedimenti finalizzati alla doverosa esecuzione della sospensione cautelare dei comportamenti omissivi o dei provvedimenti negativi si rende necessaria in quanto gli effetti della sospensione, in tali ipotesi, non sono ovviamente sufficienti a proteggere in via cautelare l'interesse legittimo pretensivo del ricorrente, sicche' l'effettivita' della tutela interinale puo' essere realizzata soltanto attraverso strumenti diversi e ampiamente eccedenti la pura e semplice paralisi (in forza di misure cautelari meramente inibitorie: "sospensive") degli effetti formali dell'atto impugnato, e quindi, innanzi tutto, attraverso l'imposizione all'Amministrazione, con misure cautelari di tipo "ordinatorio" e "propulsivo", di determinati comportamenti considerati necessari per la realizzazione della tutela giurisdizionale (cfr., fra altre, A.P., ordinanza n. 14/1983, cit., paragrafo 3 della motivazione, e, in particolare, le ordinanze di questa terza Sezione sopra indicate). Tali principi sono stati affermati e ribaditi anche dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione in sede di regolamento preventivo di giurisdizione (cfr, fra le piu' recenti pronunzie in tal senso, Cass. S.U. 25. febbraio 1995, n. 2149). 6.3. - La rilevata esigenza costituzionale di assicurare effettiva e non effimera tutela giurisdizionale agli interessi legittimi pretensivi anche nella fase cautelare del giudizio amministrativo ha, quindi, determinato, come emerge gia' dall'esposizione che precede, il sorgere e l'affinarsi di tre forme atipiche ed innominate di tutela cautelare del ricorrente titolare di un interesse legittimo pretensivo che, per definizione, non puo' trovare soddisfazione con la mera sospensione del provvedimento impugnato: 1) l'ammissione con riserva a concorsi, esami, e gare contrattuali, a seguito della sospensione dei provvedimenti di esclusione da tali procedimenti; 2) l'ordine all'Amministrazione di riesaminare la situazione in base ai motivi di ricorso ritenuti fondati, ad un primo esame, dal giudice amministrativo (c.d. remand: rinvio); 3) l'intervento sostitutivo dello stesso giudice. 1) Quanto alla prima di tali forme atipiche di tutela cautelare, e' sufficiente osservare che essa consiste nell'ordine del giudice alla p.a. di ammettere il candidato o l'impresa ricorrente rispettivamente alle prove concorsuali od agli esami (di maturita', di abilitazione all'esercizio di professioni, ecc.), ovvero alla gara contrattuale, dai quali e' stato escluso, essendo evidente che la mera sospensione del provvedimento di esclusione non consente di per se' al soggetto escluso di partecipare effettivamente a tali procedimenti, e che tale partecipazione puo' essere assicurata soltanto imponendo all'Amministrazione un preciso obbligo di comportamento il cui contenuto e' costituito, appunto, dall'ammissione del soggetto prima escluso ai procedimenti in questione, con riserva dell'esito definitivo del giudizio (secondo un'altra concezione, pure affacciata nella giurisprudenza cautelare, l'ammissione con riserva discenderebbe invece, direttamente dall'ordinanza cautelare del giudice amministrativo; sicche' dovrebbe ricondursi alla categoria degli interventi sostitutivi, di cui infra sub 3). 2) L'ordine impartito all'autorita' amministrativa di riesaminare la situazione tenendo conto delle doglianze ritenute fondate ad un primo esame (c.d. remand: rinvio) comporta egualmente, oltre alla sospensione del provvedimento negativo impugnato (cosi' come nell'ammissione con riserva), l'imposizione alla p.a. di un preciso obbligo di comportamento il cui contenuto e' costituito dall'attivita' di riesame di aspetti od elementi della situazione controversa considerati in modo incompleto o comunque inadeguato dal provvedimento negativo, o di esame di aspetti od elementi non valutati nel corso della sequenza procedimentale conclusasi con tale provvedimento. Occorre peraltro rilevare in proposito che in realta', come messo in luce da un'autorevole dottrina (e come si e' gia' implicitamente accennato al punto 6.2. parlando di "riviviscenza giudiziale del dovere dell'Amministrazione di provvedere" l'obbligo in capo alla p.a. di adeguata e completa considerazione e valutazione dell'interesse legittimo pretensivo, in funzione della possibile realizzazione dell'interesse al bene della vita, preesiste all'ordine di riesame emanato in sede cautelare dal giudice amministrativo, essendo correlato direttamente ed immediatamente allo stesso interesse pretensivo. Viene cosi' a realizzarsi attraverso la misura cautelare di cui trattasi, come pure evidenziato in altri prestigiosi contributi dottrinari, una stretta e significativa integrazione, un nesso indissolubile, tra procedimento e processo amministrativo, superandosi il modello di separazione tra amministrazione e giurisdizione e quindi tra procedimento e processo amministrativo, la cui peculiare caratteristica, e' quella di costituire un produttivo continuum tra giurisdizione e amministrazione. Del resto, alla stregua delle piu' recenti configurazioni dogmatiche, il procedimento amministrativo, se e' forma della funzione ed anzi in essa si identifica, non puo' considerarsi chiuso e definito con l'emanazione del provvedimento finale, ma deve ritenersi sostanzialmente "aperto" nel senso che deve consentire l'apertura ad interessi successivamente introdotti (perche' non considerati o inadeguatamente considerati) sia attraverso l'intervento del giudice sia in sede di autotutela. Ma, ovviamente, il procedimento amministrativo resta pur sempre la sede istituzionale per la composizione e definizione degli interessi, dato che il giudice amministrativo non si sostituisce all'autorita' amministrativa, a meno che, come si precisera' meglio appresso, l'ordinanza propulsiva non resti ineseguita ed il ricorrente ne chieda l'esecuzione. 3) La misura cautelare, dell'intervento sostitutivo del giudice amministrativo, poi, e' lo strumento mediante il quale il giudice amministrativo, nelle ipotesi in cui non e' possibile o si rivela tardivo e quindi inutile ordinare all'Amministrazione il riesame di una situazione che non consente alcun indugio (in quanto non esiste alcuna alternativa per evitare la perdita irrimediabile del bene della vita), assicura l'effettivita' della tutela interinale disponendo direttamente misure provvisorie sostitutive del provvedimento negativo impugnato e sospeso (si pensi alle ipotesi di iscrizione con riserva in elenchi o albi professionali, e che non possono configurarsi tecnicamente come ammissioni con riserva in senso proprio dato che tali misure cautelari non producono effetti meramente procedimentali ma attribuiscono direttamente al soggetto, sul piano sostanziale, quelle utilita' negategli dal provvedimento di esclusione o di rigetto della domanda di iscrizione: cfr., fra le tante, T.A.R. Sicilia - Catania, terza Sez., ordinanze n. 2267 del 18 settembre 1995 e n. 2323 del 21 settembre 1995; per altre fattispecie, nelle quali si e' ritenuta necessaria tale attribuzione diretta del bene della vita, si veda: T.A.R. Toscana, ordinanza 8 novembre 1989, n. 544, che autorizza con prescrizioni l'agibilita' di due gruppi termoelettrici; T.A.R. Sicilia - Catania, seconda Sez., ordinanza 29 luglio 1988, n. 263, che ordina il rilascio in via provvisoria della licenza di abitabilita'; T.A.R. Sicilia - Catania, ordinanza 26 maggio 1985, n. 282, sopra gia' citata al punto 6.2., che reca autorizzazione provvisoria all'insegnamento; T.A.R. Sicilia - Catania, terza Sez., ordinanze 14 settembre 1993, n. 802, e 29 settembre 1993, n. 929, sopra gia' citate al punto 6.2., con le quali viene ordinata l'ammissione con riserva della societa' sportiva "Club Calcio Catania S.p.a." al campionato di calcio serie C1, pubblicate in Cons. Stato, n. 10/1993, parte I, pag. 1343 e sg., e pag. 1350 e sg). Occorre appena rilevare ancora, in proposito, che in molte delle fattispecie in relazione alle quali il giudice amministrativo adotta pronunzie interinali riconducibili alle tre cennate categorie atipiche di ordinanze cautelari; e precisamente in tutti i casi in cui la realizzazione dell'interesse pretensivo al conseguimento od al godimento di un bene della vita risulta limitata dalla normativa di settore in un arco di tempo molto ristretto (come nelle ipotesi di conferimenti di incarichi temporanei di insegnamento per periodi di un anno o inferiori all'anno, di autorizzazioni o concessioni provvisorie o stagionali, di ammissioni ad esami di maturita', a classi scolastiche successive, ad esami di abilitazione all'esercizio di professioni, a gare d'appalto, di iscrizioni a gare o campionati sportivi che si esauriscono nel rapido trascorrere di un prestabilito e breve periodo di tempo, e cosi' via), il periculum in mora e la conseguente esigenza di tutela immediata attraverso l'emanazione di ordinanze "propulsive" (ammissioni con riserva e ordini di riesame), o di ordinanze che integrano interventi sostitutivi diretti, si rivelano immanenti, e quindi in re ipsa. E cio' sia perche', per l'ontologica fragilita' degli interessi legittimi (soprattutto di quelli pretensivi) e, quindi, per la loro naturale deteriorabilita' a causa dell'infruttuoso decorso del tempo, il conseguimento od il godimento del bene della vita non e' ovviamente piu' ottenibile, "ora per allora", dopo che sia trascorso il periodo di tempo previsto nelle varie ipotesi (o addirittura, nell'ipotesi di partecipazione a gare o campionati sportivi dopo che, rispettivamente, sia iniziato a decorrere tale periodo, o si sia consumata una parte non esigua di tale periodo); sia anche perche', alla stregua dei principi enucleati ed elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di effetti dell'ordinanza cautelare, in tutti i casi in cui la situazione di fatto o di diritto si sia ulteriormente ed irrimediabilmente modificata nel pur breve lasso di tempo intercorrente tra la proposizione del ricorso e la data della camera di consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare viene a delinearsi, sul piano logico ancor prima che su quello giuridico, un altro ostacolo alla sospensione del provvedimento amministrativo, di guisa che la misura cautelare, ove non si anticipi tale data, non potrebbe comportare alcun risultato utile per il ricorrente. Ne', a maggior ragione, il conseguimento o godimento del bene e' piu' ottenibile dopo la definizione (a distanza di molti anni) del giudizio di merito con sentenza di accoglimento passata in giudicato. L'incidenza, a volte drammatica, del fattore tempo sul processo rende quindi evidente, al di la' di ogni ragionevole dubbio, che l'effettivita' della giustizia amministrativa risiede e si esaurisce quasi sempre in una tempestiva tutela cautelare idonea ad eliminare (o quantomeno attenuare), anche attraverso le cennate misure atipiche, il deterioramento della posizione sostanziale del ricorrente destinata a subire modifiche sempre piu' gravi, e spesso irreversibili, per effetto del solo decorso del tempo. Prima ancora che a far giustizia, dunque, la tutela cautelare serve a garantire l'efficace funzionamento della giustizia, essendo per definizione finalizzata piu' che ad attuare il diritto ad assicurare l'efficacia pratica della pronunzia di merito che servira' ad attuare direttamente il diritto. Sicche', come acutamente osservava uno dei piu' insigni studiosi del processo civile, deve necessariamente ritenersi che in tutti gli ordinamenti processuali le misure cautelari mirano, al pari dei provvedimenti che il diritto inglese comprende sotto la denominazione di "Contempt of the court" a salvaguardare l'imperium judicis, ossia ad impedire che la sovranita' dello Stato, nella sua piu' alta espressione, che e' quella della giustizia, si riduca ad essere una tarda ed inutile espressione verbale, una vana ostentazione di lenti congegni, destinati, come le guardie dell'opera buffa, ad arrivare sempre troppo tardi. 7. - Ora, nel delineato quadro ricostruttivo del sistema della tutela cautelare nel giudizio amministrativo, e contrariamente a quanto affermato dal C.G.A. al punto d) dell'ordinanza n. 358/1994 (e negli enunciati motivatori del tradizionale orientamento dottrinario e giurisprudenziale, ormai largamente minoritario, che ritiene inammissibile in via di principio la sospensione dei provvedimenti negativi, ad eccezione di alcune particolari categorie di dinieghi, quali le esclusioni da concorsi, esami, e gare di appalto, i dinieghi di rinnovo di concessione, ed i dinieghi di dispensa dal servizio militare), non puo' revocarsi in dubbio che le predette ordinanze cautelari "ordinatorie" o "propulsive" non attribuiscono al ricorrente alcuna utilita' ulteriore rispetto a quelle che lo stesso ritrarrebbe da una immediata decisione del merito in senso favorevole (come pure si ritiene pacificamente possibile nelle cennate ipotesi di ammissione con riserva a procedimenti concorsuali, ad esami, ed a gare d'appalto). Ed invero, tali ordinanze si limitano ad anticipare gli effetti che derivano, secondo i principi generali in materia, dall'annullamento del provvedimento impugnato, determinando l'obbligo per la p.a. di provvedere in senso favorevole al ricorrente, ovvero anche di nuovo in senso sfavorevole, purche' su presupposti diversi da quelli gia' esaminati in sede cautelare dal giudice amministrativo. Del resto, e' ovvio che il principio secondo cui l'area coperta dalla tutela cautelare non puo' essere piu' estesa di quella che la sentenza di merito possa di per se' assicurare e' gia' implicito nella costruzione teorica dell'istituto cautelare nel processo amministrativo, ove si consideri che l'interesse ad agire in via cautelare coincide, sul piano sostanziale, con la posizione soggettiva che legittima la proposizione della domanda giudiziale di merito, e che il potere esercitabile dal giudice amministrativo in sede cautelare e' di natura identica a quella del potere spettantegli in sede di merito (cfr. A. P., ord. n. 17/1984, cit., punto 3 della motivazione). Ed e' altresi' ovvio che, se il c.d. effetto conformativo e' (come si e' gia' accennato al punto 6.1. che precede) quello che caratterizza maggiormente la sentenza amministrativa ed il giudicato amministrativo, e se l'attivita' amministrativa di rinnovazione del provvedimento annullato e', cosi' come il giudizio di ottemperanza, funzionalmente dipendente dal giudicato, l'effetto anticipatorio della misura cautelare, in una visione unitaria del processo amministrativo, deve rapportarsi all'utilita' finale del provvedimento satisfattivo e non a quella, meramente strumentale, dell'annullamento recato dalla sentenza di merito (cfr. C. S., V, ord. n. 530-bis/1987, cit., punto 3 della motivazione). Non puo' seriamente disconoscersi, quindi, la sostanziale coincidenza tra l'ambito della tutela cautelare e quella della tutela conseguibile con la sentenza di merito, a seguito della sua spontanea esecuzione da parte dell'Amministrazione ovvero, nell'ipotesi di inerzia e/o elusione del giudicato, a seguito della sua esecuzione attraverso il giudizio di ottemperanza. Deve, quindi, ritenersi che il giudice della cautela puo' spingersi fin dove puo' quello dell'ottemperanza. 8. - Non si puo', poi, condividere in alcun modo la tesi sostenuta dal C.G.A. al punto b) della stessa ordinanza n. 358/1994 ed al punto 4 dell'ordinanza n. 178/1995 (oltre che dal tralaticio e conservatore orientamento dottrinario e giurisprudenziale cui sopra si accennava) secondo cui le ordinanze "propulsive" od "ordinatorie" in questione non sarebbero ammissibili nei casi in cui i provvedimenti interinali che la p.a. dovrebbe emanare per ottemperarvi immutino in modo tendenzialmente irreversibile la situazione controversa. Tali misure, invero, non mettono affatto fine alla lite cautelata e non rendono inutile la successiva fase processuale di cognizione piena, in quanto il riesame dell'attivita' provvedimentale (o, nel caso di comportamento omissivo, l'esercizio, per la prima volta, del potere) viene posto in essere dall'Amministrazione interinalmente, in esecuzione dell'ordine del giudice, e si fonda su di una illegittimita' altamente probabile delle precedenti determinazioni o della precedente inattivita' (oggetto di "sospensiva"), che abbisogna pur sempre della conferma definitiva della sentenza di merito. Occorre poi soggiungere che anche la "sospensiva" di molti provvedimen ti positivi restrittivi (ordini, atti di ritiro, atti di sospensione, ecc.) puo' incidere in maniera irreversibile sugli interessi in gioco, senza che sia stata mai posta in dubbio l'ammissibilita' di tali provvedimenti cautelari (basti pensare, ad esempio, alla "sospensiva" del divieto di attivita' ritenuta inquinante, che puo' incidere in modo irreparabile sull'ambiente, ed alla "sospensiva" della sospensione dei lavori edilizi o dell'annullamento di concessione edilizia che modifica l'assetto territoriale proprio nello stesso modo in cui lo si fa attribuendo in via cautelare la concessione edilizia richiesta e denegata), di guisa che il cennato argomento contrario dell'irreversibilita' degli effetti e della fine della lite cautelata (addotto ex adverso) si rivela fallace nella misura in cui finirebbe per provare troppo, posto che, ove si aderisse a tale tesi, si dovrebbero escludere dalla tutela cautelare tutte le categorie di provvedimenti positivi restrittivi (quali quelli sopra indicati la cui "sospensiva" puo' incidere irreversibilmente sugli interessi pubblici sottesi e coinvolti, ne' piu' ne' meno di guanto potrebbe incidere la "sospensiva" di provvedimenti negativi e la successiva emanazione interinale del provvedimento richiesto. 9. - E' necessario rilevare ancora, in proposito, che egualmente erroneo si appalesa l'ulteriore argomento contrario, addotto dai fautori del cennato orientamento conservatore e poco garantista, secondo cui il giudice amministrativo deve giudicare e non amministrare, e pertanto non potrebbe sostituirsi all'Amministrazione come invece avverrebbe con l'emanazione in sede cautelare di provvedimenti ampliativi denegati, espressamente o implicitamente, dall'autorita' amministrativa. E cio' per varie ragioni, che possono, in estrema sintesi, riassumersi come segue: a) perche' tale assunto disconosce apertamente, senza alcuna plausibile giustificazionei il potere (espressamente attribuito dall'art. 26, secondo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) del giudice amministrativo, in sede di giurisdizione di merito (qual'e' anche, come si vedra' appresso sub 10.2.B), la giurisdizione cautelare), di riformare o sostituire i provvedimenti impugnati; cosi' finendo anche per disconoscere la stessa peculiare funzione del giudizio di ottemperanza o di esecuzione del giudicato e di tutte le altre ipotesi di giurisdizione di merito; b) perche' tutta la giurisdizione e', in ultima analisi, "sostituzio ne", in quanto, come posto in luce da una notissima quanto autorevolissima teoria precessualistica che ha avuto largo seguito e successo, il giudice attua norme di cui sono destinatarie le parti, nelle ipotesi in cui tali norme non vengano spontaneamente osservate, cosi' sostituendosi alle parti inadempienti, ivi comprese, ovviamente, le Pubbliche Amministrazioni; c) perche', alla stregua delle ricostruzioni dogmatiche del nostro sistema effettuate dalla piu' autorevole ed avvertita dottrina, il processo amministrativo costituisce momento di cooperazione all'esercizio del potere, di guisa che, in realta', puo' affermarsi ben a ragione che, secondo la notissima espressione della dottrina francese, "giudicare l'amministrazione e' amministrare"; d) perche' infine, e su di un piano piu' generale, deve necessariame nte ritenersi che, anche in conseguenza ed in applicazione del principio della inviolabilita' del diritto di difesa in ogni stato e grado del processo (art. 24, secondo comma, Costituzione) e dei principi in materia di tutela giurisdizionale nei confronti dell'Amministrazione dettati dagli artt. 103 e 113 della Costituzione, il nostro sistema di giustizia amministrativa, quale risulta dalle relative leggi processuali interpretate alla luce di tali precetti costituzionali, garantisce alla parte privata il recupero nel processo amministrativo di quell'eguaglianza di posizioni con l'Amministrazione che non ha nei procedimenti amministrativi tipici degli Stati a diritto amministrativo, quale il nostro. 10.1. - Non appare condividibile, inoltre, l'ulteriore tesi del C.G.A., esposta ai punti 1, 2 e 3 della predetta ordinanza n. 178/1995, secondo cui, in sintesi, la giurisdizione cautelare non potrebbe ricondursi nell'ambito della giurisdizione di merito in quanto non sussisterebbe alcuna analogia funzionale tra giudizio cautelare e giudizio d'ottemperanza, di guisa che non sarebbero ammissibili nella fase cautelare misure sostitutive che impongano alla P.A incisivi obblighi di esecuzione. Occorre preliminarmente osservare in proposito che nei casi in cui l'ordinanza di sospensione del provvedimento o del silenzio-rifiuto impugnato non sia di per se' sufficiente a garantire l'effettivita' della tutela dell'interesse fatto valere dal ricorrente, ovvero nei casi in cui l'Amministrazione rifiuti o eluda l'esecuzione dell'ordinanza cautelare, l'interessato ben puo' adire nuovamente il giudice amministrativo chiedendo l'emanazione dei provvedimenti ritenuti idonei (e consentiti dal sistema) per assicurare l'esecuzione della sospensione, con le forme stabilite per l'ordinario giudizio di sospensione del quale la domanda stessa rappresenta nulla piu' che una fase integrativa (cfr., fra altre: A.P. 30 aprile 1982, n. 6, punto 6 della motivazione, cit.; A.P., 5 settembre 1984, n. 17, punto 1 della motivazione, cit.; C. S., VI, 3 aprile 1985, n. 119; T.A.R. Lazio, I, 6 luglio 1985, n. 823). Cio' posto, occorre appena ricordare che con la stessa sentenza n. 6/1982 (punto 5 della motivazione) l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha chiaramente affermato il principio secondo cui anche nella fase cautelare del giudizio (e non solo in sede di esecuzione del giudicato) al giudice amministrativo deve essere riconosciuto il potere di emanare, direttamente o per mezzo di commissario ad acta da egli nominato, provvedimenti di vario tipo (costitutivi, certificativi, dichiarativi di obblighi a carico dell'Amministrazione), e di imporre alla stessa autorita' amministrativa adempimenti vari, analogamente a quanto gia' riconosciuto allo stesso giudice in relazione al giudizio di ottemperanza dalla stessa A.P. con sentenza n. 23 del 14 luglio 1978 e, gia' prima, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 75 del 12 maggio 1977. Tale estensione analogica, alla fase cautelare, degli amplissimi poteri spettanti al giudice amministrativo in sede di esecuzione del giudicato viene innanzi tutto motivata, con la predetta sentenza n. 6/1982, proprio con riferimento alla "identita' della ratio della tutela" cautelare e di quella in sede di esecuzione del giudicato (identita' di ratio e conseguente analogia che, come si e' detto, vengono invece escluse dal C.G.A.), oltre che con la natura decisoria dell'ordinanza di sospensione (A.P., 20 maggio 1978, n. 1) e con "la medesimezza dell'attivita' (e dell'organo) decisionale che - con la sola limitazione temporale degli effetti prodotti - deve potersi esplicare in ogni caso nella pienezza delle proprie attribuzioni". L'effettivita' della tutela interinale puo', dunque, essere realizzata mediante strumenti diversi e ampiamente eccedenti la pura e semplice paralisi degli effetti del provvedimento o del silenzio-rifiuto impugnato, e quindi anche imponendo all'autorita' amministrativa la tenuta di determinati comportamenti considerati necessari per la realizzazione della tutela giurisdizionale, vale a dire degli effetti sostanziali della pronuncia cautelare (cfr. A.P., ord. n. 14/1983, punto 3 della motivazione, cit., e Cass. S.U., n. 2149/1995, cit.). 10.2. - Occorre poi ulteriormente precisare, al riguardo, che tale esecuzione in via giurisdizionale delle ordinanze "propulsive" di sospensione di provvedimenti negativi o di comportamenti omissivi deve necessariamente realizzarsi, per definizione, in forma "specifica" e non generica, dato che, come si e' succintamente accennato, consiste nell'emanazione delle statuizioni giurisdizionali necessarie per attuare coattivamente, e quindi concretamente, l'ordinanza "propulsiva" di sospensione non eseguita spontaneamente dall'Amministrazione, che avrebbe dovuto ottemperarvi mediante una nuova e provvisoria effusione di attivita' amministrativa finalizzata alla realizzazione (con altri atti) del c.d. effetto conformativo (od obbligo di conformarsi) alla pronunzia del giudice amministrativo (cfr., fra altre, C. S., V, ord. n. 530-bis/1987, cit., punto 3 della motivazione). Non sembra inutile rilevare in proposito che il delineato meccanismo di esecuzione in forma "specifica" delle ordinanze cautelari in genere e, in particolare, di quelle di sospensione di provvedimenti negativi o di silenzi-rifiuti (e quindi concernenti interessi legittimi pretensivi) trova la sua base giuridica essenzialmente in un triplice ordine di principi ed argomentazioni. A) Il dovere della p.a. di provvedere regolando (ex novo o per la prima volta) interinalmente la situazione sulla quale ha inciso il provvedimento negativo (od il comportamento omissivo) sospeso - dovere la cui riviviscenza o riaffermazione, come gia' detto sub 6.2., ha "titolo" nel provvedimento cautelare del giudice amministrativo che, in un certo senso, viene a "novare" la preesistente potesta' attribuita all'autorita' amministrativa - non puo' che avere per contenuto un obbligo di fare, la cui esecuzione coattiva ad opera (esclusiva) del giudice amministrativo, stante l'analogia con gli obblighi contrattuali di fare o di non fare, coercibili in forma specifica e cioe' attraverso la consecuzione dello stesso oggetto dedotto in obbligazione (artt. 2931 e 2933 C.C.; artt. 612 e sg. C.P.C.), deve necessariamente realizzarsi in forma anch'essa "specifica" (cosi' come previsto per i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 C.P.C. dall'art. 669-duodecies C.P.C., aggiunto dall'art. 74 della legge 26 novembre 1990, n. 353), e cioe' mediante la sostituzione di provvedimenti cautelari di esecuzione del giudice amministrativo (direttamente o a mezzo di commissari ad acta) a quelli che la p.a. inadempiente avrebbe dovuto emanare, stante l'ovvia e coessenziale esecutivita' immediata delle ordinanze cautelari nonostante appello (come si desume anche dall'art. 33 legge n. 1034/1971 che prescrive l'esecutivita' immediata delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali: cfr. fra altre, A.P. n. 1/1978, punto 3 della motivazione, cit.). B) Ed invero, la giurisdizione del giudice amministrativo in sede cautelare, ed in particolare quella esercitata nella fase di esecuzione delle ordinanze di sospensione alle quali l'autorita' amministrativa non ha ottemperato, ha caratteri del tutto analoghi a quelli del giudizio di ottemperanza o di esecuzione del giudicato previsto e disciplinato dall'art. 27, n. 4, T.U. Cons. Stato approvato con R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, e dall'art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei T.A.R. - E poiche', com'e' noto, il giudizio di ottemperanza o di esecuzione del giudicato costituisce, per espressa previsione normativa del predetto art. 27, n. 4, una delle ipotesi tipiche (ed anzi, com'e' risaputo, la piu' importante) nelle quali il giudice amministrativo ha giurisdizione di legittimita' estesa al merito (art. 7, primo comma, legge n. 1034/1971, art. 27 R.D. n. 1054/1924, e art. 1 R.D. 26 giugno 1924, n. 1058); anche la giurisdizione cautelare deve ricondursi nell'ambito della giurisdizione di merito, caratterizzata, com'e' altresi' risaputo, dal potere del giudice amministrativo di riformare o sostituire i provvedimenti impugnati (art. 26, secondo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034; si veda anche l'art. 45, secondo comma, ultimo inciso, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054). Su tale ricostruzione del sistema in materia la giurisprudenza amministrativa si e' ormai assolutamente consolidata dopo la gia' ricordata fondamentale pronunzia dell'Ad. plen. n. 6/1982 (cfr., fra le tante, Cons. St., VI, 2 giugno 1987, n. 350 e n. 701/1989), con l'adesione della piu' autorevole dottrina. L'analogia tra giudizio cautelare e giudizio di ottemperanza, e la conseguente riconducibilita' del primo nell'ambito della giurisdizione di merito, si fondano, infatti, su due elementi o caratteri peculiari della giurisdizione cautelare che conducono l'interprete a tale risultato sistematico. 1) In tale prospettiva viene innanzi tutto in rilievo l'elemento tipico della cognizione cautelare costituito dal potere del giudice amministrativo - per l'accertamento della effettiva sussistenza del presupposto della gravita' che deve necessariamente caratterizzare (unitamente alla irreparabilita') il danno ai fini della sua giuridica rilevanza ai sensi e per gli effetti dell'art. 21, ultimo comma, legge n. 1034/1971 - di effettuare una ponderazione o valutazione discrezionale dell'interesse del ricorrente con l'interesse pubblico dell'Amministrazione e con quello dei controinteressati, in base a criteri o regole desumibili dalla comune esperienza, comparando, cioe', il danno che il permanere dell'efficacia del provvedimento impugnato produrrebbe al ricorrente - tenuto anche conto del periodo di tempo (di solito molto lungo) necessario per la trattazione del merito - con il danno che, in caso di accoglimento della domanda cautelare, riceverebbero l'Amministrazione e i controinteressati (per tale consolidato orientamento giurisprudenziale, seguito anche dalla prevalente dottrina, cfr., fra altre, A. P., n. 1/1978, cit., punto 3 della motivazione; C. S., IV, n. 146/1985, C.S., VI, ord. n. 240/1987; T.A.R. Sicilia - Catania, II, ord. 14 maggio 1992, n. 240). 2) Rilevanza non minore e', poi, da attribuire all'ulteriore carattere tipico della giurisdizione cautelare che va individuato nella gia' cennata (sub. 10.1.) compenetrazione od identita' sostanziale della fase "integrativa" di esecuzione dell'ordinanza cautelare e di quella, precedente, di emanazione della stessa ordinanza rimasta poi ineseguita, cosi' come inizialmente affermato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la piu' volte citata sentenza n. 6 del 1982 (punto 6 della motivazione) e ribadito dalla giurisprudenza successiva (cfr., fra altre: A.P. n. 17/1984, cit., punto 1 della motivazione; C. S., VI, n. 119/1985, e T.A.R. Lazio, I, n. 823/1985, citate al punto 10.1. che precede; e Cass. S.U., n. 2149/1995, citata al punto 6.2. che precede). Con tali pronunzie viene evidenziato il carattere rigorosamente unitario del giudizio cautelare, nel quale non sembrano identificabili procedimenti distinti di cognizione e di esecuzione, in quanto il potere cautelare implica anche la capacita' di assicurare l'attuazione della misura cautelare con gli ordinari rimedi, "essendo l'eseguibilita', anche con mezzi coercitivi, connotato proprio e indefettibile del tipo di tutela richiesto con la domanda cautelare" (cosi', testualmente, A.P. n. 17/1984, cit., punto 1 della motivazione). Tali principi sono stati recentemente affermati ed ulteriormente precisati anche dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 419 dell'8 settembre 1995 e n. 435 del 15 settembre 1995, la cui motivazione al riguardo si articola, nelle seguenti proposizioni: - ... "Una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale la quale riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato comportamento dell'amministrazione, o che detti le misure cautelari ritenute opportune e strumentali all'effettivita' della tutela giurisdizionale, incombe su quest'ultima l'obbligo di conformarsi ad essa; ed il contenuto di tale obbligo consiste appunto nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice"; - ... "In base al gia' ricordato principio di effettivita' della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonche' dell'imprenscindibile esigenza di credibilita' collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessita', il rispetto della statuizione contenuta nella pronuncia e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilita' dell'esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un'inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto: e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorita', senza distinzioni di sorta"; - "In questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria"; - "Se quindi l'esercizio di poteri autoritativi al fine della effettiva realizzazione della tutela garantita dalla Costituzione e' una fase (pur se eventuale) intrinsecamente complementare e necessaria all'esercizio della giurisdizione, ne deriva, quale logico corollario, l'impossibilita' di operare distinzioni di sorta tra funzioni giurisdizionali di natura diversa (ordinaria, amministrativa, di legittimita', di merito, esclusiva) per inferirne che solo in alcune, e non in altre, detti poteri sarebbero legittimamente esercitabili"; - ... "In linea di principio non sono configurabili giurisdizioni passibili di esecuzione ed altre in cui il dovere di attuare la decisione si arresti di fronte alle particolari competenze attribuite al soggetto il cui operato e' sottoposto a giudizio. Al contrario, la garanzia della competenza cede a fronte della contrapposta garanzia di ogni cittadino alla tutela giurisdizionale, la quale rappresenta e da' contenuto concreto, in definitiva, alla garanzia della pari osservanza della legge: da parte di tutti ed in egual misura." Alla stregua dei suesposti rilievi, quindi, non sembra che possano residuare ragionevoli dubbi in ordine alla collocazione sistematica della giurisdizione cautelare nell'ambito della giurisdizione di merito, ovvio essendo che i cennati caratteri della ponderazione o valutazione discrezionale degli interessi legittimi e degli interessi pubblici coinvolti e sottesi nella controversia cautelare, e della connaturale eseguibilita' coattiva in forma specifica delle ordinanze cautelari, esulano concettualmente dalla giurisdizione generale di legittimita'. Non e' certo questa la sede per una approfondita disamina della natura e del contenuto della giurisdizione di merito che, com'e' noto, e' aggiuntiva rispetto a quella di legittimita' e costituisce una deroga al "limite esterno" della giurisdizione amministrativa nella misura in cui, per determinate categorie di controversie, il sindacato del giudice amministrativo si estende oltre che ai profili di legittimita' anche ai profili di merito. Tuttavia, ai fini limitati della risoluzione della questione in esame, e prescindendo quindi da piu' complesse ed estese considerazioni che superano l'ambito della presente indagine, sembra sufficiente rilevare che, secondo l'opinione piu' diffusa sia a livello dottrinario che giurisprudenziale, il merito amministrativo che puo' formare oggetto di sindacato giurisdizionale nelle materie previste dalla legge deve essenzialmente intendersi, con riferimento almeno a molte di tali materie, come un giudizio di valore sulla opportunita', la convenienza, l'equita' dell'apprezzamento compiuto dalla p.a.; profili, questi, che in via normale sono sottratti al sindacato del giudice amministrativo (cfr., fra altre: Cass. SS.UU., 5 luglio 1983, n. 4501; T.A.R. Puglia, 7 dicembre 1977, n. 796, T.A.R. Sicilia - Catania, II, 6 luglio 1992, n. 656, e 21 dicembre 1992, n. 1084), perche' assistiti da quella che e' stata definita una "riserva di amministrazione" nei confronti del giudice. Siffatta valutazione della realta' fattuale, in quanto effettuata alla stregua di precetti non giuridici (anche se in realta', com'e' stato esattamente rilevato da una corrente dottrinaria, i profili di merito, ove astrattamente configurabili, coesistono con profili diversi in ordine ai quali e' necessario procedere a valutazioni tecniche e ad accertamenti di fatto), presenta connotazioni di autonomia - rispetto all'accertamento di tale realta' cosi' come operata dalla p.a. - nel senso che e' necessariamente svincolata dal limite costituito dagli elementi e presupposti di fatto contemplati dal provvedimento impugnato, essendo tale potere di rivalutazione della realta' fattuale, ed il giudizio di valore in cui si estrinseca, indispensabili, come mezzo al fine, all'esercizio del potere decisorio di riforma o di sostituzione (dello stesso provvedimento) previsto espressamente, come gia' si e' accennato, dall'art. 26, secondo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e, implicitamente, dall'art. 45, primo comma, ultimo inciso, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, che indubbiamente presuppongono l'attribuzione, sia pure implicita, di siffatto potere di cognizione autonoma al giudice amministrativo. D'altra parte, la riforma dell'atto o la sua sostituzione con un altro da parte del giudice, che si sostituisce all'autorita' amministrativa chiamata in giudizio, trae la sua ragion d'essere dalla rivalutazione e dal diverso giudizio che il giudice esprime sull'operato dell'Amministrazione. I due poteri - quello di rivalutazione del fatto e quello di riforma o di sostituzione del provvedimento - presentano, quindi, aspetti peculiari di complementarita'. C) Ma, anche a prescindere dai cennati rilievi processualistici, che l'esecuzione delle ordinanze cautelari emanate nel processo amministrativo non possa che effettuarsi in forma specifica costituisce il logico e necessario corollario del noto principio, costantemente affermato dalla Corte di Cassazione, ed essenzialmente desunto da una lettura eccessivamente restrittiva dell'art. 2043 C.C., della irrisarcibilita' della lesione degli interessi legittimi (cfr., fra le piu' recenti riaffermazioni di tale principio, Cass. S.U., 26 aprile 1994, n. 3963, 5 marzo 1993, n. 2667, e 8 agosto 1991, n. 8636), con le sole eccezioni della materia degli appalti di lavori pubblici e delle pubbliche forniture (art. 13 legge n. 142/1992, e art. 32, terzo comma, della legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994) e delle ipotesi, di mera origine giurisprudenziale, della lesione derivante da provvedimenti di annullamento o sospensione di concessioni edilizie o di autorizzazioni commerciali, successivamente annullati dal giudice amministrativo (si veda, fra le piu' recenti pronunzie in tal senso, Cass., 18 novembre 1992, n. 12316). Non essendo, quindi, configurabile ed ammissibile nella generalita' dei casi (almeno allo stato attuale dell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale al riguardo) una obbligazione della p.a. di risarcire ai privati il danno ad essi provocato dalla lesione dei loro interessi legittimi determinato dall'emanazione ed esecuzione di provvedimenti illegittimi o dal comportamento omissivo (obbligazione che, come tutte le obbligazioni pecuniarie, e' coercibile con l'esecuzione forzata in forma generica prevista dagli artt. 2910 e sg. C.C. e dagli artt. 483 a 604 C.P.C.), non e' conseguentemente immaginabile, anche sotto tale profilo, una esecuzione in forma generica delle ordinanze cautelari del giudice amministrativo in materia di interessi legittimi, trattandosi, appunto, della forma di esecuzione forzata prevista dall'ordinamento per la tutela dei diritti di credito, e che presuppone l'inadempimento di obbligazioni pecuniarie. 10.3. - Ne' potrebbe ritenersi che l'affermata riconducibilita' (in via analogica e di interpretazione sistematica) del giudizio cautelare nella giurisdizione di merito costituisca una vulnerazione del principio costituzionale della divisione dei poteri nella misura in cui consentirebbe al giudice amministrativo di invadere la sfera di attribuzioni riservata dalla legge all''Amministrazione. Ed invero, per escludere in radice la configurabilita' di un contrasto della tesi qui' sostenuta con il predetto principio costituzionale, e' sufficiente formulare alcuni brevi rilievi, oltre a quanto gia' precedentemente osservato circa la natura della giurisdizione come sostituzione del giudice alle parti (punto 9.b) ed in ordine all'esecuzione coattiva in forma specifica delle ordinanze cautelari (come pure affermato dalla Corte Costituzionale con le richiamate sentenze nn. 419 e 435 del 1995). Preliminarmente, deve osservarsi che, come esattamente rilevato in dottrina, il silenzio della Costituzione sulla giurisdizione di merito non puo' in alcun modo interpretarsi come divieto, mancando ogni elemento positivo in tal senso, e non potendosi far leva sulla limitazione dei controlli amministrativi di merito sugli enti locali prevista dall'art. 130, secondo comma, Cost., posto che tali controlli comprimono effettivamente le autonomie locali riconosciute dall'art. 5 Cost., laddove l'attivita' sostitutiva del giudice amministrativo in sede di giurisdizione di merito (ed in particolare in sede di giudizio di ottemperanza ed in sede cautelare) si esplica nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni in quanto parti processuali, e trova il suo fondamento, la sua giustificazione ed il suo fine nei principi stabiliti dai menzionati artt. 24, secondo comma, e 113, primo e secondo comma, Cost. Occorre poi rilevare che "il principio di legalita' dell'azione amministrativa (artt. 97, 98 e 28 Cost.) unitamente al principio di effettivita' della tutela giurisdizionale (artt. 24, 101, 103 e 113 Cost.), se da un lato affermano l'indipendenza dell'amministrazione, dall'altro comportano esplicitamente l'assoggettamento dell'amministrazione medesima a tutti i vincoli posti dagli organi legittimati a creare diritto, fra i quali, evidentemente, gli organi giurisdizionali" e che "la Costituzione accoglie il principio in base al quale il potere dell'amministrazione merita tutela solo sul presupposto della legittimita' del suo esercizio, demandando agli organi di giustizia il potere di sindacato - pieno, ai sensi del secondo comma dell'art. 113 della Costituzione - sull'esistenza di tale presupposto" (cosi', testualmente, Corte Cost., nn. 419 e 435/1995, citt.) Non e' assolutamente concepibile ed ammissibile, invero, che nello Stato di diritto possa sussistere una sfera di competenze esclusivamente riservata all'Amministrazione e sottratta, come tale, al controllo giurisdizionale, e cio' non soltanto per il rispetto di tale precetto costituzionale, che vieta l'esclusione o la limitazione della tutela giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti, ma perche' anche quando il giudice amministrativo esercita giurisdizione di merito agisce pur sempre come giudice, e cioe' in posizione di terzieta' ed a fini di giustizia, dovendo pur sempre accertare se il provvedimento impugnato corrisponda o vada oltre a quanto richiede il soddisfacimento dell'interesse pubblico, e se, conseguentemente, il sacrificio della posizione del ricorrente sia o no giustificato. Deve inoltre osservarsi che per quanto concerne le ordinanze "propulsi ve" di riesame della situazione in base ai motivi di ricorso ritenuti fondati (c.d. "remand": rinvio), che costituiscono il nucleo preponderante delle forme atipiche di tutela cautelare, il potere discrezionale dell'autorita' amministrativa non viene ad essere soppresso ma soltanto limitato, in quanto viene fatta espressamente salva per definizione - com'e' fatto palese dalla stessa qualificazione di "riesame" o "rinvio" di tali ordinanze - l'alternativa dell'emanazione da parte della p.a. di un nuovo provvedimento negativo sulla base, pero', di altre legittime ragioni ostative (non evidenziate col primo diniego) alla emanazione di un provvedimento ampliativo, e cioe', com'e' ovvio, sulla base di ragioni e presupposti del tutto diversi da quelli precedentemente individuati ed esplicitati dall'Amministrazione con tale diniego (e ritenuti ad un primo esame illegittimi con l'ordinanza cautelare di riesame). 11. - Il Collegio, poi, deve fermamente dissentire dalla ulteriore opinione del C.G.A., esposta al punto c) della menzionata ordinanza n. 358/1994, secondo cui deve essere "rispettato il principio del doppio grado di giurisdizione, nel senso che, salvo casi eccezionali in cui il ritardo nel provvedere comprometterebbe irreversibilmente l'interesse del ricorrente ..., l'obbligo dell'amministrazione di provvedere, al fine di un'adeguata tutela anche dell'interesse pubblico, operi soltanto nell'ipotesi in cui la decisione cautelare di primo grado non sia stata appellata". In altri termini, dunque, l'operativita' dell'obbligo dell'Amministrazione di eseguire l'ordinanza "propulsiva" di sospensione e quindi di provvedere nuovamente ed interinalmente, nonche' la stessa ammissibilita' della eventuale ulteriore fase cautelare di esecuzione coattiva in primo grado, pur riconosciute nei limiti ristrettissimi segnati dalle condizioni individuate nella stessa ordinanza (e gia' sopra criticati) resterebbero ulteriormente subordinate alla condicio juris risolutiva della proposizione dell'appello avverso l'ordinanza cautelare di primo grado. Per confutare un simile assunto occorre appena ricordare che, come pure incisivamente affermato da un'autorevole dottrina, se perfino la pronunzia cognitoria del T.A.R. e' dichiarata esecutiva, cioe' immediatamente efficace, dall'art. 33 della legge n. 1034/1971, senza che la proposizione dell'appello possa incidere su tale efficacia (a meno che il Consiglio di Stato non sospenda con ordinanza l'esecutivita' della sentenza), tanto piu' cio' dovra' ritenersi per le misure cautelari il cui fondamento stesso risiede nel modificare subito il regime giuridico delle parti, tenuto conto, oltre tutto, che alla p.a. non puo' consentirsi la scelta tra l'ottemperanza immediata e l'attesa dell'esito dell'appello gia' proposto o da proporre, in quanto una simile facolta' equivarrebbe ad una sorta di denegata giustizia, e cioe' ad affermare che per una larga parte degli interessi pretensivi la cautela e' tanto attenuata da risultare, quando contrastata da una difesa accanita dell'Amministrazione, in parte inesistente, e cio' in violazione dell'art. 113, secondo comma, della Costituzione. Del resto, il cennato principio dell'esecutivita' immediata, nonostant e appello, delle ordinanze cautelari dei Tribunali amministrativi e' perfettamente simmetrico e coerente con l'analogo principio vigente nel processo civile in materia di provvedimenti d'urgenza ex art. 700 C.P.C., come risulta dal quinto comma, prima parte, dell'art. 669-terdecies C.P.C. (aggiunto dall'art. 74, legge 26 novembre 1990, n. 353), in base al quale "il reclamo non sospende l'esecuzione dei provvedimenti". Ma non si puo' sottacere, poi, il pericolo che siffatta enunciazione di principio si riveli oggettivamente fuorviante nella misura in cui venga interpretata dalle Amministrazioni tenute ad eseguire le ordinanze cautelari anche come implicita affermazione sostanziale della liceita' della mancata esecuzione dell'ordinanza cautelare di primo grado, e quindi come una sorta di preventivo e generale giudizio di esclusione di ogni illiceita' o antigiuridicita' penale di tale comportamento omissivo, che, invece ed al di la' di ogni dubbio, integra gli estremi materiali del reato di cui all'art. 328 C.P. (rifiuto di atti d'ufficio od omissione), come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza penale. Una simile interpretazione, che purtroppo ha avuto e continua ad avere larga diffusione nelle varie Amministrazioni per il rapporto di stretta conseguenzialita' sillogistica in cui si pone con l'enunciazione di principio che l'ha ingenerata (o rafforzata), conduce fatalmente ad un duplice risultato tanto perverso quanto destabilizzante per i principi generali in materia di esecutivita' delle pronunzie dei giudici, di buon andamento e imparzialita' dell'amministrazione, e di legalita': quello di "disarmare" il giudice amministrativo di primo grado, in quanto, per la convinzione (erronea) della insussistenza di ogni reato e per la conseguente mancanza di ogni metus poenarum nei titolari di pubbliche funzioni amministrative, le ordinanze cautelari del T.A.R. vengono svuotate di ogni valore ed efficacia, in contrasto con i piu' volte richiamati precetti costituzionali e con il menzionato art. 33 legge n. 1034/1971; e quello di vulnerare e calpestare non soltanto il principio del primato della funzione giurisdizionale nel momento interpretativo ed applicativo delle norme dell'ordinamento ma lo stesso fondamento dello Stato di diritto, ledendo conseguentemente, in modo intollerabile, anche il prestigio di tutta la magistratura amministrativa, sia di primo grado che d'appello. 12. - Non appare, infine, plausibile l'argomentazione che, al fine di escludere che (nella fattispecie dedotta allora in giudizio) ricorresse la "condizione" dell'assenza di irreversibilita' dei provvedimenti che l'Amministrazione dovrebbe emanare in esecuzione di ordinanze cautelari che dispongono >il riesame della situazione controversa, viene addotta nella ripetuta ordinanza n. 358/1994 (a pag. 5) dal C.G.A., secondo cui il provvedimento positivo interinale (nella specie, la concessione a titolo provvisorio di un finanziamento pubblico) "da una parte provocherebbe una immutazione tendenzialmente irreversibile della situazione controversa, attesa la problematicita' di un eventuale recupero di finanziamenti indebitamente concessi, e dall'altra non inciderebbe su eventuali legittime aspettative dell'aspirante ai finanziamenti che - al limite, in sede di esecuzione di giudicato - potrebbe sempre conseguire quanto dovutogli". Ed invero, a prescindere dalle considerazioni di carattere generale gia' svolte al precedente punto 8 per confutare la tesi secondo cui le ordinanze "propulsive" ed "ordinatorie" potrebbero determinare effetti tendenzialmente irreversibili nella situazione controversa, occorre contestare in particolare la fondatezza di tale argomentazione contrapponendovi i rilievi che seguono: 1) lo stesso problema di un "eventuale recupero di finanziamenti indebitamente concessi" si porrebbe egualmente ove il provvedimento di concessione venisse emanato, anziche' in esecuzione di un'ordinanza cautelare "propulsiva", in esecuzione della sentenza di primo grado non ancora passata in giudicato, a meno che non si voglia arrivare ad affermare che vanno eseguite soltanto le sentenze di accoglimento passate in giudicato e che l'esecutivita' delle sentenze dei Tribunali amministrativi prescritta dall'art. 33 legge n. 1034/1971 costituisca una vuota enunciazione in quanto non potrebbero e non dovrebbero, alla stregua di tale orientamento giurisprudenziale, essere eseguite spontaneamente dall'Amministrazione essendo possibile il loro annullamento in appello; 2) il paventato rischio per l'Amministrazione del recupero di finanziamenti indebitamente concessi non e' diverso o maggiore da quello connesso alla ripetizione di qualsiasi contributo erogato spontaneamente dalla p.a. in assenza di ogni controversia e che risulti successivamente non dovuto; 3) non viene a determinarsi alcuna "immutazione tendenzialmente irreversibile della situazione controversa", perche' l'asserita "problematicita'" per la p.a. dell'eventuale recupero di cui si discute puo' essere esclusa in radice, se del caso, condizionando l'effettiva riscossione dei contributi e finanziamenti erogati alla concessione da parte dei beneficiari di idonee garanzie (fideiussioni bancarie, ecc.); 4) affermare, poi, che l'aspirante ai finanziamenti, "al limite in sede di esecuzione di giudicato, potrebbe sempre conseguire quanto dovutogli", eguivale ancora una volta (a prescindere dalla rapida esauribilita' dei fondi stanziati dalle varie leggi) ad affermare sostanzialmente che soltanto dopo che sia passata in giudicato la sentenza di accoglimento, o addirittura in sede di giudizio di ottemperanza ove l'Amministrazione non esegua spontaneamente neanche la sentenza passata in giudicato, il privato puo' essere effettivamente tutelato ed ottenere giustizia; cosi' disconoscendo di fatto, in contrasto con i piu' volte richiamati principi costituzionali e soprattutto con quello della inviolabilita' del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, secondo comma, Cost.), la configurabilita' del danno grave e irreparabile anche a causa della sola incidenza del fattore tempo sul processo, ed in ultima analisi la stessa tutela cautelare in materia di interessi pretensivi concernenti contributi e finanziamenti pubblici; ed esponendo i soggetti interessati che hanno i requisiti previsti dalla legge per la loro concessione (e che su di essa hanno fatto affidamento) anche al rischio di gravi dissesti finanziari, senza alcun sostanziale vantaggio per gli interessi pubblici riconosciuti e tutelati dalla legislazione in materia di benefici e provvidenze per i vari settori economici ed imprenditoriali, ed anzi con contestuale pregiudizio degli stessi interessi pubblici considerati nella loro proiezione o rifrazione individuale nella sfera giuridica dei singoli soggetti che compongono la "collettivita'" di volta in volta contemplata dalle normative di settore. 13. - Per le suesposte considerazioni, a norma dell'art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la risoluzione della questione incidentale di costituzionalita' di cui trattasi, disponendosi conseguentemente la sospensione del giudizio cautelare instaurato col ricorso in epigrafe.